Una prestazione va sempre commentata al di là del risultato e i numeri, non le opinioni, dicono che Napoli ha tirato diciassette volte verso la porta avversaria e creato una pressione offensiva tale da guadagnare tredici calci d’angolo
Dopo una beffa del genere è giusto che tifoseria e staff tecnico abbiano fisiologicamente, al cospetto di un risultato negativo, reazioni diverse.
La prima ha il pieno diritto di essere delusa: l’unico dato di fatto proveniente dall’inaspettata sconfitta contro il Cagliari è l’aumento del distacco del Napoli dalle rivali per lo scudetto, salito, dopo sole cinque giornate, a ben sei punti dall’Inter e a quattro dalla Juve. Se si vuole puntare a non fallire l’obiettivo dichiarato, lottare per il titolo sino al termine del campionato, non si possono perdere partite in casa contro buone squadre, ma pur sempre di seconda fascia come quella sarda. Il Cagliari con il gol di Castro (il secondo dell’argentino al San Paolo, il primo lo aveva siglato in un Napoli- Catania 2-1) ha archiviato la sua quinta vittoria in Serie A all’ombra del Vesuvio. Trattasi della prima da dodici anni anni a questa parte: nell’agosto 2007 il Cagliari allora allenato da Marco Giampaolo vinceva a Fuorigrotta in quella che era l’esordio in assoluto in Serie A del Napoli della gestione De Laurentiis: Pasquale Foggia e Matri segnarono le reti del 2-0 cagliaritano.
Imparare l’amara lezione
Se la delusione della tifoseria è legittima, dal canto loro, società, tecnico e giocatori hanno invece il dovere di essere incaxxati neri per un risultato che chi vuole (e ha tutte le carte per) puntare in alto non può in alcun modo concedersi. Poco conta che gli azzurri contro il Cagliari abbiano meritato di vincere e che il migliore in campo dei rossoblu sia stato il portiere Olsen, lo stesso tra l’altro divenuto famoso lo scorso anno con la Roma per i tanti errori compiuti (forse il segnale maggiore di come la partita avesse un destino negativo già scritto). Perdere dopo aver concesso agli avversari nei primi 87 minuti di gioco un solo colpo di testa alto sulla traversa (e non pericoloso) deve bruciare e infondere rabbia: la sconfitta non è spiegabile in sè nemmeno con una inevitabile, nel corso di una lunga stagione, prestazione negativa. Proprio però la consapevolezza di aver comunque commesso vari errori, soprattutto mentali -nell’approccio alla partita e nella mancata ferocia nel cercare il gol nonostante si siano creato tante occasioni- ma di non aver calato in realtà considerevolmente il rendimento rispetto alle ultime vincenti prove, deve dar coraggio alla squadra che il lavoro compiuto in queste settimane stia pagando. Bisogna lavorare il più possibile sulle menti di un organico forte nel quale va, se fosse possibile, incrementa nei giocatori la determinazione e la voglia di vincere: si può sbagliare perché sono commenti fatti da lontano e non vivendo il campo, ma, questa squadra non sembra morire al pensiero di non vincere.
Beffa autentica
Una prestazione va sempre commentata al di là del risultato e i numeri, non le opinioni, dicono che Napoli ha tirato diciassette volte verso la porta avversaria e creato una pressione offensiva tale da guadagnare tredici calci d’angolo. C’è riuscito nonostante un Cagliari, arrivato al San Paolo dopo due vittorie e una sconfitta immeritata con l’Inter, che difendeva compatto con una linea difensiva a cinque e distanze molto corte tra i reparti, messo benissimo in campo da Maran. Il cinquantaseienne tecnico trentino è alla prima vittoria della carriera in sedici circostanze che aveva affrontato in carriera il Napoli (ma dopo averlo bloccato in un Napoli- Cittadella terminato 3-3 nel primo anno della serie C che molti ricorderanno, in Serie A lo aveva già fermato con due 0-0, una volta alla guida del Catania sette anni fa, l’altra allenando il Chievo nel novembre 2017).
La mera consolazione è che pochissime altre volte, producendo comunque tanto come contro il Cagliari, non si vincerà: del resto, se Olsen è stato il migliore in campo, un motivo ci sarà. Tuttavia, tali considerazioni non devono impedire di analizzare gli errori che, assieme al destino, hanno provocato la sconfitta. Molti sembrano congeniti di questo gruppo, che dopo splendide prove contro top club eruropei, poi inciampano in campionato, magari per aver regalato – leggasi giocato con un pizzico di inconscia sufficienza, pensando che la vittoria in qualche maniera sarebbe arrivata da sola grazie alle maggiori qualità tecniche- un tempo.
Sarebbe folle criticare la fase difensiva, con e senza lo “sfortunato” Koulibaly di questo periodo: il Cagliari che aveva segnato sei gol nelle ultime due gare, ha chiuso la prima frazione senza aver mai tirato in porta. Resta che questa squadra, che pure ha il gol nel sangue, alcune volte sembra composta da giocatori che devono sempre fare la rete da cineteca, quasi incapaci di segnare anche di schiena, qualora servisse.
Llorente si sente quando non gioca, Lozano ancora in fase di ambientamento
Per questo motivo, sebbene sarebbe ridicolo ergere a indispensabile un giocatore che ha avuto un’ottima carriera, ma che non è mai stato un campione -e tantomeno non può esserlo a 34 anni- con un comodissimo e un pò vigliacco senno del poi si può dire che Llorente sarebbe servito prima. Oltre alle caratteristiche fisiche e tecniche uniche nel folto reparto d’attacco del Napoli, lo spagnolo sembra infatti essere il solo tra le punte del Napoli dotato di quella esperienza e cattiveria, di quella cieca determinazione nel cercare il gol indispensabili in partite del genere: contro una squadra arroccata, probabilmente avrebbe aiutato avere l’ex Tottenham in campo con un maggiore minutaggio.
In ogni caso, sebbene non ci possano essere veri dubbi sul valore del giocatore, Lozano non ha convinto contro il Cagliari: dopo il gol alla Juve, sono passati per lui circa 240 minuti senza segnare o fare assist. Successivamente alla pausa per le nazionali di inizio settembre, di lui si ricordano solo qualche sprazzo di un pur purissimo talento (in particolar modo contro la Samp), ma la fisiologica fase di assestamento al tatticismo del campionato italiano e alla diversa attenzione delle difese della Serie A, è in tutta evidenza in atto. L’importante è che il messicano venga utilizzato nel suo vero ruolo: dal di fuori non sembra essere quello in cui lo sta utilizzando Ancelotti, ma di certo non si può pretendere di saperne più del tecnico emiliano, che anche dopo il Cagliari ha invece asserito sia così.
Ferruccio Roberti ilnapolista © riproduzione riservata