Lo sfogo (civile) del tecnico partenopeo non risponde solo alla crisi del Napoli ma alla deficienza di un sistema arbitrale che finge di aprirsi al dialogo ma poi detta regole a proprio uso e consumo
Finito il giro turistico europeo con l’Italia di Mancini si torna alle tristi beghe condominiali del campionato, scrive Tony Damascelli sul Giornale.
“L’aria tossica della serie A ripropone il tema degli arbitri che non sono più cornuti e venduti ma sono diventati, spesso, riders di decisioni altrui”.
E’ quello che emerge dal contraddittorio tra Ancelotti e Rizzoli. Il tecnico del Napoli
“ha esperienza mondiale, non è un arruffapopolo, non si agita come un ossesso a bordo campo ma ha deciso che ogni pazienza ha un limite e questo è il Var”.
Ha chiesto spiegazioni su chi arbitri davvero in campo, se il direttore di gara o l’addetto al Var. Ha sollevato lui il problema, dopo due anni dall’introduzione della tecnologia in campionato. E Rizzoli gli ha risposto
“prima dandogli ragione al cento per cento, e qui siamo all’autogol comico, quindi provando a spiegare le difficoltà della categoria tra talenti veri e altri con stesso fischietto ma non uguale personalità”.
Il regolamento, scrive Damascelli, non ha bisogno di interpretazione ma di applicazione. E invece, in alcune situazioni, la tecnologia crea confusione ed equivoci.
In Europa la Var è stata accettata per non contrastare la Fifa. Tutti si lamentano. Allenatori e calciatori non gradiscono come viene applicata. In Italia, scrive,
“Amleto e don Abbondio vanno via come il pane, al punto da portare un professionista come Ancelotti a uno sfogo, civile, che non risponde solo alla crisi del Napoli ma alla deficienza di un sistema arbitrale che finge di aprirsi al dialogo ma poi detta regole a proprio uso e consumo, da assoluto protagonista”.