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È un Napoli involuto, che ha smarrito l’identità. Ma non regaleremo a nessuno il nostro disfattismo

È un Napoli involuto, che ha smarrito l’identità. Ma non regaleremo a nessuno il nostro disfattismo

È un Napoli da record. Dopo averci mostrato contro l’Empoli la sua faccia più brutta dell’era Benitez, a sette giorni di distanza supera se stesso e ne esibisce una ancora peggiore. In casi come questi si dice: tanto brutto da non poter essere vero. Ma pensare che le cose stiano così sarebbe un errore. Invece è un Napoli vero, verissimo, quello battuto a San Siro. Non un Napoli umiliato, il che è addirittura peggio. L’umiliazione rende una serata unica, irripetibile. È stato un Napoli brutto, molle, nervoso, fatto da 11 giocatori che giocavano da soli, un Napoli molto diverso da quello costruito finora in un anno e mezzo di lavoro, al punto da sembrare una squadra che gioca insieme per la prima volta. Un Napoli molto distante dall’immagine che abbiamo del Napoli di Benitez, come ha sottolineato anche Boban in tv subito dopo la partita. Non siamo neanche più nel campo del rammarico per la visione dei soliti difetti: stavolta non ci siamo trovati di fronte a una squadra che fa fatica a crescere in modo definitivo, che manca l’ultimo passo, il salto di qualità, eccetera. Il Napoli, per usare una definizione di Mario Sconcerti, è sempre stato finora una grande squadra che fa fatica a diventare grandissima. Ma stavolta ci siamo trovati di fronte ad altro, a una squadra in involuzione, una squadra che sta facendo dei passi indietro, che quasi ha dissolto il suo patrimonio identitario e che di certo lo ha rinnegato. 

Sono tante le volte in cui è stato rimproverato al Napoli di Benitez il peccato di dissennatezza e tante le volte in cui questa squadra è stata accusata di sacrificare la fase difensiva a quella offensiva. Tantissime le volte in cui al Napoli è stato rinfacciato di andare in campo senza preoccuparsi di cosa facesse l’avversario: l’anno scorso finanche a Dortmund, sul campo degli allora vicecampioni d’Europa, ve lo ricorderete, quando Benitez venne colpevolizzato per non aver cercato di conservare un pareggio che valeva la qualificazione. Ebbene, a Milano nulla di tutto questo. A Milano c’era in campo una squadra che aspettava di vedere dove buttasse il vento. Un atteggiamento di impotenza disarmante, senza personalità. Lasciamo perdere il finale, guardiamo la partita quando la partita contava. Per 60 minuti non c’è stato né il Napoli del giro palla né quello delle ripartenze veloci, solo una squadra preoccupata dal non lasciare il contropiede agli avversari, una squadra spaventata, bloccata, intimorita dal Milan come avrebbe potuto esserlo di qualunque altra avversaria, questo è preoccupante: nonostante sia una squadra in passato molto criticata per aver voluto giocare sempre e soltanto a viso scoperto. 

La spiegazione di Benitez è tra le righe delle sue frasi serali. “Quest’anno ci manca la continuità. Sta venendo meno l’attacco”.  È come se Benitez dicesse: abbiamo sempre saputo di non avere la nostra forza nei meccanismi difensivi e proprio per questo abbiamo costruito una squadra che provasse a compensare questo deficit con la sua forza d’urto in attacco. È questa la spiegazione al modulo con tre trequartisti e una punta (unici in Italia). Arriva a Napoli, si rendo conto di quel che ha, modella la squadra sulle caratteristiche dei giocatori: prendiamo sempre un gol, vero, allora proveremo a farne due, intanto lavoriamo per non subirne. Ma oggi, lascia intendere Benitez, il punto debole non è più la difesa che continua a prenderne, oggi il punto debole sta davanti, dove i gol non arrivano con la stessa faciltà di prima. O meglio: dove i gol, quando arrivano, non vengono più dagli uomini intorno ai quali questa squadra era stata costruita. Callejon, ancora oggi il capocannoniere della squadra, non segna da otto partite. Higuain ha concentrato sette dei suoi dieci gol stagionali nell’arco di un mese, dal 26 ottobre (la tripletta al Verona) al 23 novembre (Cagliari). Da un mese a questa parte segnano Zapata e De Guzman. Sempre gol sono, ma è evidente che non è uguale. Se prima avevamo una coperta corta, ora abbiamo una coperta cortissima. 

Abbiamo visto quest’anno un grandissimo Napoli (con la Roma), alcuni buoni Napoli (Genoa, Sassuolo, Torino, Verona, Young Boys a Napoli), qualche Napoli sfortunato (Chievo, Udinese, Atalanta, Inter), un paio di Napoli sciagurati (Palermo, Cagliari), ma rispetto all’anno scorso abbiamo anche visto la novità di qualche Napoli irriconoscibile, un Napoli in cui non ci pare di rintracciare neanche uno dei giorni trascorsi in un anno e mezzo di lavoro, un Napoli vuoto, una scatola senza niente dentro. A volte un po’ di carattere nel finale, ieri tutto sommato neppure quello, se non qualche scintilla dopo l’ingresso di Zapata. Poco, onestamente molto poco.

Tra i tanti pronostici dichiaratamente semiseri del mio giochino estivo sul Napolista, non vorrei indovinare proprio quello che riguardava il sesto posto del Napoli. Troppe zavorre si porta il Napoli addosso: il contratto in scadenza di Benitez, la partenza lenta e la preparazione condizionata a causa dei 12 reduci dai Mondiali, la notte di Bilbao, il malumore di Higuain. Gli alti e bassi si spiegano così. A tutto questo si è aggiunto un mese fa l’infortunio di Insigne. Non siamo una squadra che può perdere senza conseguenze un calciatore importante come lui, anche quando non gioca bene, un attaccante che Benitez ha trasformato in un giocatore tatticamente unico. Senza Insigne il Napoli ha giocato sei partite e ne ha vinta una, contro lo Slovan Bratislava. In più c’è questo stato di incertezza nei rapporti tra Benitez e De Laurentiis, un fattore che nei prossimi mesi potrebbe prendersi la scena in modo deciso. I giornali stamattina raccontano che è stato il presidente a pretendere che la squadra vada in ritiro. Se così fosse, si tratterebbe di un atto che contrasta apertamente con i metodi finora adottati da Rafa. È un passo legittimo, quello del presidente, ma mosso dentro i confini delle decisioni dell’area tecnica. Se Benitez è l’uomo a cui si delega l’area tecnica, diciamo per semplificare: il manager all’inglese, questo intervento stride. A meno che il ritiro non l’abbia deciso Benitez. Non so cosa augurarmi, perché se fosse stato Benitez a esigerlo, sembrerebbe un gesto disperato.

Eppure. Eppure adesso. Eppure adesso abbandonare questa squadra sarebbe da vili. È il momento più difficile del Napoli negli ultimi anni. L’amore per una squadra di calcio non è legato ai risultati, altrimenti saremmo tutti già da tempo altrove. Il Napoli non deve riconquistarci: non ci ha mai persi. Il Napoli non deve dimostrarci nulla: sappiamo che in questo momento non ce la farebbe. Siamo a due punti dal terzo posto, che onestamente a me è parso sin dall’inizio il massimo obiettivo raggiungibile con questa squadra così formata. Abbiamo gli stessi punti del Milan, dove la stessa nostra posizione di classifica genera ottimismo, fiducia e speranza in un futuro migliore. Sarebbe un errore regalargli il nostro disfattismo.
Il Ciuccio

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