Scampia è Gomorra. È la famiglia Savastano. È “vienete ’a piglia’ ’o perdono”. È: “ma è proprio così,vero?”. Un business ha prodotto un altro business. La poesia del film di Garrone è stata spazzata via dalla fiction che – secondo loro – dovrebbe mettere a nudo il cancro di una realtà e presto sarà bissata. A proposito: a quando un album di figurine? Se ne sente la mancanza.
A Scampia, però, non ci sono solo i Savastano. Ci sono anche gli Esposito. E a casa Esposito sarà un Capodanno particolare. Il primo senza Ciro, il giovane tifoso del Napoli morto di calcio. È da poco in libreria “Ciro Esposito – Ragazzo di Scampia”, un libro firmato dallo zio del povero Ciro, Vincenzo, un passato nella Fiom e di battaglie politiche, edito dalla libreria Dante & Descartes. Un libro che è anche una raccolta degli articoli pubblicati in quei giorni a Napoli. Anche. È soprattutto la testimonianza e il racconto dello zio. Sin dai primi momenti di quel pomeriggio del 3 maggio, quando la tv diffondeva informazioni approssimative e a casa Esposito arrivavano telefonate rassicuranti di chi era lì: “Ciro è stato colpito a una mano”.
A leggere quelle righe, l’ansia risale anche mesi dopo. È inevitabile immedesimarsi con una famiglia che improvvisamente si ritrova al centro di una tragedia. Vincenzo Esposito pone subito l’accento sulla trama scelta dai mass-media, sull’abisso tra il succedersi dei fatti e il copione recitato da giornalisti e opinione pubblica. Con Genny ’a carogna al centro della scena. E la notizia della fantomatica rapina di cui sarebbe stato protagonista Ciro.
A scanso di equivoci, nel racconto dello zio di Ciro non compare mai la parola eroe né un termine che gli si avvicini. Compare invece Alemanno e compare la politica. «Una compagna di Roma – scrive Vincenzo – mi contatta su Facebook, le ha parlato di me Vittorio Passeggio, e mi manda le prime notizie dettagliate su De Santis, la sua appartenenza alla destra eversiva capitolina, i suoi legami con Alemanno, la storia del Ciak 2000, l’origine del soprannome. Capisco che sarà dura affermare la verità ma anche che la mia storia, i miei rapporti, le mie competenze possono essere utili ad affermare la verità. Percepisco anche che intorno a mio nipote si sta creando un vuoto, a partire dal partito al quale è iscritto, il Pd, nessuno ha voglia di porsi domande. Ci sono già le risposte preconfezionate. Pino, mio fratello, è il segretario del Pd di Scampia, intorno a lui un silenzio assordante».
Lo zio di Ciro racconta come, giorno dopo giorno, grazie soprattutto alla straordinaria forza della signora Antonella, la madre, la famiglia Esposito abbia lottato contro una trama già scritta.
La raccolta degli articoli, a partire da quello del sindaco de Magistris pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno, rende perfettamente l’idea del clima vissuto a Napoli in quei giorni. Con una città, anche la parte meno innocentista nei confronti di Ciro – tra cui il Napolista -, sgomenta per la sproporzione dell’attacco mediatico subito. È come se la Gomorra della fiction si fosse finalmente vivificata. Sembrava di assistere a quel che più di un decennio prima ci aveva mostrato Oliver Stone in Natural born killers. Servizi e servizi su Genny, Forcella, Scampia, la droga, la camorra anzi Gomorra che fa più figo. Di De Santis, della destra romana, del circolo di proprietà del Coni, di Alemanno, dell’uomo che ha sparato a Ciro nulla. Nulla di nulla.
Vincenzo non si tira indietro nel suo racconto. Non si ferma al funerale del nipote. Al ricordo di quella festa di Marinella di cui si tornerà a parlare quando il Pd sceglierà il suo prossimo candidato a sindaco. Quella festa cui non partecipò de Magistris che andò alla camera ardente allestita a Scampia. Vincenzo non si ferma alla morte di Ciro. Prosegue. E prova a comprendere quel mondo, gli ultras, a lui estraneo. Racconta di come abbia cominciato a frequentarli. Per capire. E ne evidenzia le storture, l’atteggiamento autoreferenziale. Scrive di come può essere sconfitta la mentalità ultras.
Le pagine successive, il collage di articoli, sono un tuffo indietro, a quei giorni. Il primo articolo scelto, non a caso, è di Aldo Masullo che sul Mattino scrisse “La Napoli degli esclusi»: scelse il film “Le cose belle” per raccontare quel che stava vivendo Napoli e non solo in quei giorni. Un testo di perenne attualità. «Di Napoli – scrisse Masullo – non si racconta quasi mai la borghesia o quel che resta della nobiltà, ma sempre il popolo, il popolo minuto, da secoli senza lavoro e senza rispetto». Ci sono i commenti, le analisi, e anche i reportage. Come quello di Monica Scozzafava dal Gemelli di Roma, col fratello di Ciro che le dice: «Scriva questo, nella nostra casa di Scampia ascoltiamo musica, non i neomelodici ma Jimi Hendrix e Bob Marley, leggiamo libri. Lavoriamo tanto e comei ragazzi di molti altri quartieri di Napoli abbiamo degli hobby, delle passioni. Non spacciamo droga. Lo scriva, la prego». E c’è tanto altro: la prefazione di Erri De Luca, gli scritti di Peppe Lanzetta, Marco Rossi-Doria, Pietro Treccagnoli, per fare qualche nome.
Non sappiamo quanto la famiglia Esposito sia riuscita a invertire il trend mediatico. In parte ce l’ha fatta. In parte no. Ma un’altra Scampia è emersa. Una famiglia normale. Per dirla alla Celentano, gente tranquilla che lavorava. Lontano, molto lontano, da quelli virtuali che mandano in figli in Honduras a farsi le ossa. Tutt’al più li tengono nell’autolavaggio di famiglia. Ma, temiamo, nessuno produrrà mai una fiction sugli Esposito. Che vivranno il primo Capodanno senza il loro Ciro.
Massimiliano Gallo