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Damascelli contro la mielosità che stravolge il vero Pinocchio di Collodi

Su Il Giornale ricorda la crudeltà e la ferocia del romanzo di Collodi e cita l’operazione verità dell’autore teatrale Roberto Mercadini

Damascelli contro la mielosità che stravolge il vero Pinocchio di Collodi

Ancora una volta da leggere Tony Damascelli che oggi su Il Giornale non scrive di calcio ma della mielosità che tutto avvolge e stravolge, anche i testi originali pure quando sono a loro modo sacri.

C’è molto zucchero attorno a Pinocchio, anche a quello cinematografico di Matteo Garrone. Colpa di Geppetto Benigni che è un padre universale, come san Giuseppe, almeno queste le parole sue, del premio Oscar.

Damascelli scrive che va in scena a Torlonia e poi a Milano  lo spettacolo Fuoco nero su Fuoco bianco, magma di parole sulla Bibbia ebraica, di Roberto Mercadini.

Pinocchio, per l’appunto, preso al volo, per replicare con i fatti, le parole dunque, alle proteste della figlia, Agata, infastidita dalle immagini televisive di opere pittoriche rinascimentali, su tutte la Crocifissione, dunque sangue, mani inchiodate, sofferenza, tragedia, morte, tutta roba “non adatta a me”, bambina di sei anni. Papà Roberto ha allora rovistato nei ricordi di scuola, Collodi, Pinocchio, così riraccontando.

Capitolo XIV: «Metti fuori i denari o sei morto; — disse l’assassino più alto di statura. Morto! ripetè l’altro. E dopo ammazzato te, ammazzeremo anche tuo padre! Anche tuo padre!”. “No, no, no, il mio povero babbo no! — gridò Pinocchio con accento disperato: ma nel gridare così, gli zecchini gli sonarono in bocca. “Ah furfante! dunque i denari te li sei nascosti sotto la lingua? Sputali subito! E Pinocchio, duro. Ah! tu fai il sordo? Aspetta un po’, che penseremo noi a farteli sputare! Difatti uno di loro afferrò il burattino per la punta del naso e quell’altro lo prese per la bazza, e lì cominciarono a tirare screanzatamente uno per in qua l’altro per in là, tanto da costringerlo a spalancare la bocca: ma non ci fu verso.

Damascelli cita un altro brano del libro

“Ho capito; – disse allora uno di loro – bisogna impiccarlo. Impicchiamolo!”.
“Impicchiamolo” – ripetè l’altro. Detto fatto gli legarono le mani dietro le spalle, e passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande. Poi si posero là, seduti sull’erba, aspettando che il burattino facesse l’ultimo sgambetto: ma il burattino, dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti, la bocca chiusa
e sgambettava più che mai. Annoiati finalmente di aspettare, si voltarono a Pinocchio e gli dissero sghignazzando: “Addio,
a domani. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la garbatezza di farti trovare bell’e morto e con la bocca spalancata”».

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