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Tabarez: “Il talento non basta, serve riuscire a dare un significato a ciò che stai facendo”

Intervista alla Gazzetta: “Ci sono pochi giocatori che si possono permettere di essere al di sopra del collettivo: Messi, Maradona, Pelé, Cruijff, Di Stefano. Per gli altri vale la nozione del gioco di squadra”

Tabarez: “Il talento non basta, serve riuscire a dare un significato a ciò che stai facendo”

La Gazzetta dello Sport intervista Oscar Tabarez, 72 anni e un passato lunghissimo da calciatore. Oggi ct della Nazionale dell’Uruguay.

Dice la sua sull’introduzione della tecnologia in panchina, del tablet per gli allenatori, il virtual coach.

«La tecnologia serve, aiuta e la uso, ma va aggiunta un’altra considerazione: il calcio non è cambiato. Continua ad essere una questione tra persone, e questo è l’aspetto più rilevante. Il fattore principale nel rendimento di un calciatore è la capacità individuale e collettiva espressa dagli uomini che abbiamo a disposizione. Il grande protagonista è il giocatore, che solo quando dà un significato preciso a ciò che sta facendo riesce a crescere».

Riesce ad imporsi il calciatore che supera una sconfitta, un infortunio, difficoltà personali. Chi riesce a reinventarsi.

«Il talento non è sufficiente. È importante per arrivare a un certo livello professionale, però per diventare un vincente, un leader, per fare come il Liverpool di Klopp, al momento l’espressione più brillante del calcio mondiale, servono anche altre cose. Penso all’unione del gruppo, alla condivisione di valori e obiettivi, al riuscire a dare un significato a ciò che si sta facendo. Questo rende straordinaria una squadra normale. E sono cose che dipendono dalla capacità dello staff tecnico, non te le dà un tablet. La differenza la fa sempre il fattore umano».

Del dibattito tra possesso e contropiede dice:

«Con questa storia del calcio di possessione sembra che qualsiasi squadra possa farlo e dipenda dall’illuminazione che può avere un allenatore. Non è così: per me la parola santa nel calcio continua ad essere equilibrio. Ovvero come una squadra collettivamente risolve i problemi che le si presentano durante una gara. Come difendersi, e una volta ripresa la palla come portarla in campo rivale e come sorprenderlo. Ci sono pochi giocatori che si possono permettere di essere al di sopra del collettivo: Messi, Maradona, Pelé, Cruijff, Di Stefano. Per gli altri vale la nozione del gioco di squadra. Il Liverpool oggi è la massima espressione del collettivo. E dell’equilibrio».

Tabarez spiega cosa significa l’espressione “garra charrua”, con cui viene indicata la Nazionale che allena

«Storicamente fa riferimento ai Charrua, una tribù indigena che erano qui prima della Conquista spagnola, che portò al loro sterminio. Una civiltà meno sviluppata se la paragoniamo a quelle di altri Paesi, come gli Inca e i Maya. L’espressione è diventata il tratto distintivo di un calcio nel quale il giocatore si ribella difronte alla sconfitta, rifiuta di darsi per vinto, va a cercare una vittoria superando situazioni di stanchezza, inferiorità numerica o svantaggio. E ci rappresenta, si».

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