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Se non avessimo trasformato la Sampdoria nel Real Madrid

Un attimo fa “ce la giocavamo col Barcellona”, poi perdiamo col Lecce. Passiamo dall’illusione allo psicodramma, siamo basculanti e non guardiamo il vero fattore decisivo della stagione: gli episodi

Se non avessimo trasformato la Sampdoria nel Real Madrid

Per una settimana, una settimana da dio, abbiamo letto i giornali spagnoli. Marca, il Mundo Deportivo, il Pais. Abbracciati ad una crisi altrui, con la testa svuotata dal peso della nostra, a informarci su Messi e Abidal. Alimentando una speranza: “ce la possiamo fare, ce la giochiamo col Barcellona”. Era il Napoli che aveva eliminato la Lazio in Coppa Italia, battuto la Juventus al San Paolo, e vinto a Marassi con la Samp. E’ passata una settimana: il Barcellona ha vinto trascinato da Messi, e il Napoli ha perso in casa col Lecce. Una settimana, e abbiamo perso la testa, almeno quella.

La danza tra un Napoli e l’altro, tra “l’unica squadra che ha battuto il Liverpool campione del mondo” e quella che perde al San Paolo da Bologna e Parma, tra quella che ferma la Juve di Sarri e quella che prende tre gol dal Lecce di Liverani, è più che altro una taranta inconsulta. Balliamo presi da un insostenibile ritmo senza memoria e non sappiamo mai davvero dove siamo, chi siamo, e dove andiamo.

La suddetta speranza – “possiamo giocarcela col Barcellona” – che ha cominciato a fare capolino in città, è un ottimo benchmark per tirare una linea, arrivati a metà di un’annata schizofrenica. E’ un’asticella. Chi ci salta su alla Fosbury, incurante dei segnali opposti, ottimista a oltranza. Chi si tiene sotto, in un reiterato limbo, impermeabile alle gioie. Chi la cavalca a fasi alterne, come al trotto, col culo che fa su e giù. Il Napoli intanto resta sballottato dai momenti, dal Barcellona che arriva mentre il Lecce se ne va, con Gattuso che un giorno è un guru della saggezza agonistica e l’altro l’incosciente che manda in campo una formazione sbagliata, e fa i cambi sballati. Il “nuovo” Napoli torna vecchio, e poi nuovo, di nuovo. La nave “imbarca acqua”, “si scioglie come neppure il sangue di San Gennaro”, con “evidenti difetti di costruzione”. Una settimana fa le metafore erano quelle ad uso nei momenti di “garra” mediatica: la “rivoluzione”, la “sagacia tattica”, la “mentalità”.

Dovremmo darci tutti una calmata.

Sul lungo periodo il riassunto di questa mezza stagione (come non se ne vedevano più da un pezzo) è un rosario di episodi: pali, traverse, gol divorati, nefandezze arbitrali. E parliamo solo del campo, e non dei ritiri, le multe, gli esoneri, per carità. Persino quelli positivi – che siamo portati sempre a tradurre invece come “segnali” di chissà quale ventata di novità – restano quelli: la scivolata sul rigore di Immobile, la resistenza al dominio (durato un’ora) della Sampdoria, l’autogol-vittoria a tempo scaduto col Sassuolo. Il calcio – lo sport – è questa roba qua, anche. Farci i conti con un minimo di razionalità sarebbe un esercizio di sanità mentale, da queste partite davvero poco praticato. Troppa insopprimibile voglia di trovare il colpevole, anche a tempo molto determinato. Meglio, poi, se il colpevole è “quello col curriculum”, ontologicamente avversario di questa città in preda alle circostanze, continuamente.

Ancelotti e Gattuso, non fa molta differenza in fondo. Godono, o hanno goduto, di un credito basculante, determinato dagli umori del momento, dalla febbre che sale e poi scende. Le rivincite postume non fanno breccia: Ancelotti ha preso l’Everton dal fondo della Premier e lo sta portando in Europa, ma parlarne non si può, si passa per “vedovelle”. E non incanta del tutto il fragore della novità, perché il tifoso s’abbaglia, ma non s’acceca: con Gattuso il Napoli ha perso cinque partite su otto, passando dal settimo all’undicesimo posto, ma si può dirlo solo sottovoce, altrimenti, ancora… “vedovelle!”.  Salvo poi fare la rassegna stampa delle sconfitte e scoprire che i commenti non rompono mai l’onda emotiva: si vince tutti assieme, e perdono sempre gli altri.

Basta un Lecce qualsiasi per digerire una Juventus, come bastava una Sampdoria (non il Real Madrid) per dirci all’altezza del Barcellona. Siamo così. Ondivaghi, incostanti. Il Napoli siamo noi: la storia, pure, visto che è sempre la stessa.

 

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