In Russia sono le 14.30, ci sono 3 gradi, ieri ancora nevicava. Il cielo è coperto e non è sabato santo, come da noi, perché in Russia la Pasqua si festeggia tra una settimana. Giovanni Savino, 31 anni, docente di Storia dell’Europa Orientale, si prepara alla battaglia con tutti i riti scaramantici del caso, dai più triviali (che non rivela) allo spargimento di sale per evitare, forse, quello di sangue amaro in campo. Vive in Ulitsa Talalikhina, una strada più o meno al centro di Mosca, alla stazione Proletarskaja. Soprannominato ‘O prufessor, nato e cresciuto ad Aversa, è sbarcato in Russia, a San Pietroburgo, nel 2005, poi, nel 2012, si è stabilito a Mosca, per motivi di studio e per sopravvivenza: dottore di ricerca, impossibilitato dalle circostanze a lavorare per vivere, dopo l’ennesimo tentativo di sbarcare il lunario come distributore di volantini è partito verso nuove avventure.
Racconta che, fino a un anno fa, prima della tremenda crisi socio-economica, in Russia si viveva benissimo ma poi le cose sono peggiorate. Comunque, condizioni economiche a parte, “c’è sempre un’ombra di nostalgia per i propri affetti” e infatti, per sentirsi più vicino a casa, canta spesso in napoletano quando cammina per strada.
Parla di Mosca come di una città dove c’è poco sole, soprattutto in questa primavera traditrice che si era presentata bene ma che poi ha lasciato spazio alla neve. Dice che i russi si lamentano della loro depressione invernale: “Pensa come può stare, qui, un napoletano…”.
Ci elenca i suoi piatti preferiti: la pizza, la pasta e patate con provola, il casatiello. Poi, però, si ferma d’improvviso in preda alla malinconia: “Elencarli mi arreca dolore, non posso”, dice addolorato. Il suo colore preferito è il rosso, beve il caffè zuccherato e forte, della tradizione napoletana lo affascinano i miti e le leggende legate a Virgilio e all’Eneide, da Miseno alla Sibilla e le tradizioni come il caffè sospeso e i corni. Di Napoli, che considera come “una madre che ha figli lontani, orgogliosa ma un po’ malinconica”, gli mancano l’odore del mare, il sole, le passeggiate al Virgiliano, le pizze da Di Matteo e dalle Figliole e il “cazzeggio” a piazza del Gesù. È particolarmente legato al Virgiliano per la vista che abbraccia tutto il golfo, ai chiostri di Porta di Massa e di Largo San Marcellino per averci studiato, a Mergellina, perché lì è nata sua nonna, a via Benedetto Croce e Port’Alba, che lega indissolubilmente alla passione per i libri e alla napoletanità.
La sua prima partita al San Paolo è stata Napoli-Vicenza, alla fine degli anni ’90. Lo stadio per lui rappresenta un’emozione mai scontata.
Dice che il Napoli è identità, passione, croce e delizia, il riscatto di un popolo, la gioia di una città e di milioni di napoletani come lui, espatriati all’estero. Non concepisce la possibilità che un napoletano possa tifare per una squadra diversa dal Napoli: “Vorrei tanto che il Napoli somigliasse all’Athletic Bilbao, come parte di un’identità fiera e inclusiva”, aggiunge. Ammette di essersi innamorato di Rafa Benitez quando, nella famosa finale di Istanbul, ribaltò una partita praticamente chiusa. Lo considera il vero valore aggiunto del Napoli, anche se non sufficientemente supportato dalla società. Ci avverte: “Non dirò come penso che finirà il campionato nemmeno sotto tortura” e noi non insistiamo. I giocatori che preferisce del Napoli di Benitez sono tre: Mertens per la grinta, Higuain per la bravura stratosferica, e Insigne. Racconta che quando Lorenzo segnò contro il Borussia i vicini di casa il giorno dopo gli chiesero: “Giovanotto, ma eravate voi ad urlare Insigne, Insigne, Insigne?”. Ebbene sì, era lui.
La partita la guarda a casa, da solo, con commento in brasiliano e ogni volta che Britos prende la palla lui perde un anno di vita. Intanto impreca contro Pijanic, a prescindere. Al gol della Roma inizia a ripetere come un mantra “nooooooo nooooooooooo” mentre la chiesa di fronte casa perde la cupola per le bestemmie. Giovannni si lamenta per la troppa improvvisazione in diesa ma confida nei restanti 60 minuti. Un rafaelita mantiene la barra a dritta fino alla fine.
L’intervallo lo passa in compagnia dell’aspirapolvere. Fa alla polvere ciò che vorrebbe facessero i nostri alla Roma mentre continua a dire: “De Guzman, perché non ce la fai? Perché?”. Incita Benitez a cambiare qualcosa, ma nessun giocatore di nome “Cazzimma” veste di azzurro, e non c’è cambio che tenga. Una partita buttata. Si cucina uno spaghetto aglio e olio per consolarsi. Stasera andrà a vedere Blade Runner in versione integrale. Per purgarsi.
Ilaria Puglia