Da ieri un brusco ritorno alla sobrietà dopo overdosi massicce di allarmismo, tra vari Burioni, Barbare D’Urso, governatori in mascherina
Il 27 febbraio 2020 verrà ricordato come il giorno della svolta. Inatteso, dopo giorni di martellamento e titoli a 9 colonne, è arrivato il ripensamento dei media sul coronavirus. Non sappiamo se si tratti di un improvviso attacco di buonsenso o se dal Quirinale sia finalmente arrivata una telefonata per riportare tutti sulla retta via, fatto sta che la settimana dell’autolesionismo pare giunta al termine.
Ne siamo lieti, molto, ma non possiamo non chiederci: come ci siamo avvitati su noi stessi?
Il virus viene scoperto per la prima volta nella penisola il 21 febbraio. È il famoso 38enne di Codogno in Lombardia, mentre due anziani ricoverati in ospedale già da 10 giorni vengono trovati positivi in Veneto. Era logico e prevedibile che prima o poi l’infezione arrivasse anche qui. Quello che non era preventivabile era la reazione folle del sistema Italia.
Sarebbe troppo lungo e noioso mettere in fila la lunghissima fila di sparate, attacchi di egocentrismo, disattenzioni, sciacallaggi politici e idiozie che il sistema Italia ci ha regalato in questi 7 giorni (e qualcosa anche prima), mi limiterò a citare le più clamorose.
Innanzitutto: in un caso del genere la gestione della comunicazione istituzionale è fondamentale. Bisognava essere preparati su cosa dire e, soprattutto, su chi avrebbe dovuto parlare. Il presidente del consiglio? Il ministro della sanità? Il ministro degli interni? Nel nostro meraviglioso Paese il primo a parlare è stato nientepopodimeno che Giulio Gallera, l’assessore al welfare della Lombardia.
L’indomito assessore ha comunicato anche le mosse della sanità lombarda per contenere il virus. Nei primi comunicati non c’è traccia del minimo coordinamento con il Governo.
Nella serata del 21 febbraio il ministro Speranza vola in Lombardia, ma uno dei due anziani in Veneto muore e Zaia annuncia un piano straordinario per contenere il virus: 4500 tamponi e isolamento per alcuni comuni.
Qui comincia la spirale dell’autolesionismo, i tamponi a tappeto portano i loro frutti, vengono individuati in meno di 24 ore 76 casi positivi all’infezione, il che rende l’Italia il Paese più colpito d’Europa, il quinto al mondo.
La politica comincia ad annusare odore di visibilità. Conte si fa vedere, forse per la prima volta in vita sua, in pullover, Salvini chiede di chiudere i porti (tanto per cambiare). Renzi e Zingaretti, incuranti, parlano di crisi e rimpasti di governo. La sinistra è sempre, notoriamente, sul pezzo.
Alcuni comuni chiudono le scuole, in Lombardia anche le Università, alcune partite di Serie A vengono rinviate, il Carnevale di Venezia no, poi sì, poi a metà.
Proseguono i tamponi a tappeto e in altre 24 ore i positivi salgono a più di 150. 4 i morti. Siamo terzi nel mondo, dopo Cina e Corea del Sud. Vengono diffusi i dati dei positivi, da qualche parte scoppia la caccia all’untore. Il Sud che ancora non è stato colpito cerca di blindarsi vietando l’ingresso ai lombardi e ai veneti e, soprattutto, la psicosi porta la gente ad accaparrarsi i beni nei supermercati.
Comincia anche la guerra tra gli esperti: è solo un’influenza, no non lo è, è mortale “solo” per gli anziani, siamo tutti a rischio, no non è vero… il caos.
Alla fine del 24 febbraio, a tre giorni dal primo caso, i positivi sono oramai quasi 350, le vittime 11. “Epidemia”, “pandemia” e “strage” sono i titoli dei giornali. Qualcuno comincia a chiedersi come mai ci si infetti solo in Italia, visto che gli altri paesi europei sono pressoché fermi nel numero dei contagi. L’Italia entra nella lista nera mondiale. I nostri connazionali all’estero vengono intercettati e monitorati. l’Austria ferma i treni, la politica procede in ordine sparso.
È una ridda di dichiarazioni di presidenti di regione, sindaci, assessori. Si fa a gara a chi chiude di più. L’Amuchina vale più dell’oro, le mascherine vanno a ruba, non facciamo che lavarci le mani e dirci quanto sia importante. Soprattutto, a Milano vietano gli aperitivi, la situazione è quindi gravissima.
Mentre Burioni insulta un po’ tutti e manda in stampa un pamphlet dal rassicurante titolo “Virus, dal coronavirus alla peste, come la scienza può salvare l’umanità” (peraltro la peste è causata da un batterio, ma vabbè, è così evocativa…), il ministro Speranza ha l’idea di chiamare qualcuno che abbia idea di cosa fare e nomina come proprio consulente Ricciardi dell’OMS.
Ricciardi arriva e non ha nemmeno il tempo di leggere tutto il dossier che il governatore della Lombardia, Fontana, pensa bene di diffondere un video in cui si dichiara in autoisolamento per via di una sua collaboratrice risultata positiva ai test. Il video si conclude con un goffissimo tentativo di indossare una mascherina ottenendo due risultati straordinari: 1) contraddire tutte le autorità che per giorni hanno detto che le mascherine vanno indossate solo da chi è malato; 2) fornire una strepitosa foto a tutti i media del mondo, che infatti la sparano a tutto spiano. Oltre al danno, la beffa: il volto di Fontana è coperto dalla mascherina, quindi nessuno lo riconoscerà per strada, proprio come prima del video.
A questo punto qualcuno si deve essere reso conto che questa splendida gestione dell’emergenza stava seminando il panico oltremisura e che a rischio, oltre alla salute e al sistema nervoso, c’era l’economia del Paese.
Ricciardi prende in mano la situazione e scopriamo che: a) i tamponi a tappeto, nel mondo, li abbiamo fatti solo noi, scoprendo così, inutilmente, moltissimi positivi asintomatici e contravvenendo alle indicazioni dell’OMS; b) il virus provoca una sindrome abbastanza simile all’influenza e gestibile; c) bisogna cercare di rallentare il contagio per evitare che ci si ammali in troppi contemporaneamente e il sistema sanitario vada in tilt; d) abbiamo inutilmente contato tra le vittime “del” coronavirus molte persone che erano malati terminali.
Così, all’improvviso, capiamo che mentre noi facevamo a gara a chi scopriva più positivi, la Germania dichiarava appena 18 casi di coronavirus e taceva il picco di 80.000 casi di influenza, di cui 40.000 negli ultimi 14 giorni (ma sarà sicuramente una coincidenza).
Dopo aver inflitto un colpo probabilmente inguaribile alla nostra economia e aver gettato nel panico una nazione intera, oggi è arrivata la redenzione collettiva: Libero che invita alla calma, i media improvvisamente cauti e rassicuranti, Conte che (di nuovo con la giacca) incontra Macron come se niente fosse e Mentana che dimezza le ore di tv in cui parla del coronavirus. A Milano si è persino tornati a liberalizzare l’aperitivo, siamo quindi salvi.
Cosa dovremmo imparare da tutto questo? Alcune cose, abbastanza semplici. Che non è affatto vero che “uno vale uno”, c’è chi è in grado e chi non lo è. Che la corsa alla visibilità della classe politica, se di solito è solo irritante, nei momenti di crisi può essere devastante. Che abbiamo un mondo dell’informazione malato e incapace (ma che ci sta a fare l’Ordine dei giornalisti?). Che dobbiamo lavarci spesso le mani. Per almeno 40 secondi. Proprio come ci ha fatto vedere Barbara D’Urso.