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Juventus-Inter a porte chiuse, l’origine di tutti i mali

Non ci fosse stato il Derby d’Italia a fare da precedente avrebbero giocato tutti a porte chiuse, niente caos. Come in Serie B, dove ieri si è disputata una partita a 40 km da Codogno

Juventus-Inter a porte chiuse, l’origine di tutti i mali

In principio erano le porte chiuse. Che nessuno aveva osato riaprire, non c’erano mai stati spiragli. Le porte chiuse, prima di Juventus-Inter, erano serrate. Ordinanza, lucchetto e via. Qualunque fosse il motivo, la trafila burocratica non ammetteva deroghe. Con buona pace di tutti: chi non incassava, chi non andava allo stadio, chi giocava con le urla che rimbalzavano sugli spalti vuoti e tornavano metalliche in campo, chi s’avviliva e chi ci ricamava su la retorica del “calcio è dei tifosi”. Poi fu Juventus-Inter. E il pallone girò.

Il peccato originale. Sappiamo quando, dove e come il calcio italiano ha cominciato ad avvitarsi in una spirale di non-sense, meschinerie, politica da scantinato e prosopopea fuori luogo: uno spettacolo pop, come solo noi nel mondo. Una pagliacciata, diremmo se Zhang non avesse inflazionato pure l’offesa. Sabato 1 marzo 2020, a due ore dal primo match di una giornata che s’era fatta piacere 5 partite senza pubblico per emergenza sanitaria. Una giustificazione di piombo che non ha tenuto, le pressioni (della Juventus, soprattutto) hanno trovato uno sfiato in Lega ed è successo il patatrac: l’immagine degli stadi vuoti che avrebbe messo in cattiva luce l’Italia nel mondo s’è moltiplicata in un album di figuracce. Con una catena di scelte sbagliate che messa una dietro l’altra e sfogliate in velocità fanno un cartone animato dell’assurdo.

Un racconto fulminante dell’Italia di oggi, di cui tra un po’ conosceremo anche l’epilogo, ma che nel frattempo brucia tutto: anime candide, interessi di bottega, faide di potere. Un capolavoro mefitico cominciato con Juventus-Inter, la partita che non sopportava le porte chiuse. Non ci fosse stato il Derby d’Italia (con un terzo di scudetto in gioco e la forma un po’ giù dei bianconeri) in calendario ora staremmo scrivendo d’altro. Magari ci staremo arrovellando su quanto è triste il calcio senza tifosi, ma il campionato sarebbe andato avanti. Silenzioso, ma in linea con un principio che gli altri sport non mettono in discussione: la competizione la fanno quelli in campo, non chi li guarda.

Lo scenario che s’è mangiato ogni distopia prevede un piccolo salto. A Cremona, ieri, proprio mentre tra riunioni, pec, telefonate e diffide andava in scena l’impazzimento generale della Serie A, si è giocata una partita di Serie B: Cremonese-Empoli, finita 2-3. A porte chiuse. Cremona dista da Codogno 38,9 km, un’oretta di macchina. Codogno è il primo grande focolaio dell’epidemia italiana. Le direttive in vigore attualmente, tra Lombardia e governo nazionale, hanno permesso che si andasse in campo e si giocasse a pallone. E’ la Serie B, direte voi. E’ calcio, è sport, ribadiamo. E in questo momento in cui i cinema sono chiusi in una città e in quella vicina bisogna sedersi ogni due seggiole, la sobrietà imporrebbe una gestione morigerata degli eventi pubblici. Ma soprattutto serena: non si può andare allo stadio? Non si va. Andiamo avanti.

E invece no. Perché non è solo questione di blasone. Udinese-Fiorentina, Parma-Spal, Milan-Genoa e Sassuolo-Brescia sono partite di Serie A, e nessuno, il 1 marzo, aveva anche solo preso in considerazione le istanze di società che non fossero la Juventus. Otto squadre messe in appendice di una partita sola, per quanto importante. Con un decisionismo miope. Senza porsi il problema di creare così pericolosi precedenti.

Juventus-Inter è il grande precedente che a valanga ha travolto il resto. Ha trasformato una scelta di buon senso – o quanto meno dettata da eventi più grandi di una semplice partita di calcio – in un magma di illazioni, cavilli, scappatoie. Ha fatto tutto il giro in meno di una settimana, per tornare al punto di partenza: si giocherà sette giorni dopo, a porte chiuse. Sul campo restano giorni di macerie fumanti.

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