Su Netflix l’esordio nel lungometraggio di Francesco Lettieri. Il mondo delle curve filtrato da tre diverse generazioni, con sullo sfondo il “rompete le righe”
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Sui social si discute – in mancanza della vita vera di pizze, delle regie di Montalbano e delle polemiche tra virologi: ormai diventati più star degli chef. Da poche ore – in controtendenza – ha preso quota un topic sul film di Francesco Lettieri “Ultras”, direttore che dopo una vita di videoclip indie ha deciso – produzione Netflix – di esordire anche come regista di lungometraggi, ricalcando le orme di Melina Matsoukas di “Queen&Slim”.
Il film è un viaggio nella vita del gruppo ultrà degli Apache, napoletanissima posse di tifosi-diffidati che ha poi generato altre schiere di epigoni più o meno strippati. Sandro Russo detto Mohicano (Aniello Arena, già candidato ad un David di Donatello per “Reality” di Garrone) è uno dei capi cinquantenni, con Barabba (Salvatore Pelliccia), McIntosch (Sandro Basile) ed altri. Un gruppo intermedio sui vent’anni è invece capitanato da Pechegno (l’emergente Simone Borrelli) e dal fuori di testa Gabbiano (Daniele Vicorito). Poi un terzo gruppo di sedicenni capitanato da Angelo (Ciro Nacca) fratello di un coetaneo di Sandro morto in una guerriglia ultrà a Roma.
La quotidianità di questa variegata sigla di aficionados varia dal giretto sociale, allo sballo, alla fattura di striscioni: il gruppo fondatore composto da diffidati non può, invero, più partecipare all’ordalia sportiva e cerca di frenare le voglie di scontro con gli ultrà romanisti dei secondi. Mentre il gruppo di ragazzi varia dal primo gruppo al secondo. Soprattutto Angelo che senza padre e fratello è sotto la tutela morale di Sandro che è quello tra i vecchi ad averne più le scatole piene, soprattutto dopo avere conosciuta la bella quarantenne Terry (Antonia Truppo; già vincitrice di due David come attrice non protagonista per “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Indivisibili”). L’epilogo è da tragedia greca e la sceneggiatura di Peppe Fiore è lineare e pulita. Il tutto condito dalle canzoni di Liberato e da qualche classico d’annata. Un film tutto sommato che convince per la sua morale di fondo del “rompete le righe”.