Sta per chiudersi la stagione di Rafa Benitez a Napoli. Stasera va in scena l’ultimo atto. Da molti considerato decisivo per il futuro della società e della squadra. Se si vince si conquista il diritto a giocarsi i preliminari di Champions League; altrimenti, i 45 milioni che andranno a chi conquisterà la fase a gironi resteranno un miraggio.
Sono stati due anni certamente intensi. In cui una personalità forte come quella dell’allenatore spagnolo ha prodotto una altrettanto forte divisione nell’opinione pubblica. Con la maggioranza – almeno dell’opinione pubblica – schierata all’opposizione. Ovviamente con toni diversi, ma il becero è stato sicuramente uno dei tratti prevalenti.
Tra gli “oppositori” del progetto Benitez va annoverato certamente Il Mattino, il quotidiano della città. Che, soprattutto in questo secondo anno e sin dall’inizio della stagione, ha scelto una linea piuttosto dura sia contro la società sia contro l’allenatore. Nei momenti difficili di inizio anno (calcistico), il quotidiano diretto da Alessandro Barbano ha seguito una linea in tutto sovrapponibile agli sfoghi e alle lamentazioni che era possibile ascoltare per strada, al bar, in qualsiasi mezzo pubblico.
Nessuna novità, lo abbiamo scritto tante volte, soprattutto in quei mesi. Quel che sorprende è la diversa cifra del direttore in altri argomenti. Mesi fa, Barbano scrisse un editoriale sul garantismo che avrebbe certamente raccolto l’apprezzamento di Cesare Beccaria, merce rara per il giornalismo dei giorni nostri. Oggi il direttore ha scritto un fondo tutt’altro che banale sulle elezioni regionali. Barbano ha raccontato di non guardare più la televisione da due anni (fatta eccezioni per le partite del Napoli, ci ha tenuto a precisare) e di averla accesa l’altra sera per ritrovarsi di fronte a programmi rumorosi in cui si litigava soltanto. Liti e rumori di fondo che di fatto – scrive Barbano – hanno contraddistinto questa campagna elettorale.
Ma il direttore del Mattino prende le distanze dalla imperante demagogia e non si sdegna affatto per i candidati – impresentabili o no – della Campania. Anzi. Propone che lui stesso definisce un racconto depurato di qualche forzatura. Parte dalla premessa che la democrazia è imperfetta e lo è ancora di più quando è marginale, come in Campania. “Affanna, fa fatica a tirarsi su, evolve con difficoltà tra le tante piaghe sociali e un certo isolamento che il Mezzogiorno paga. (…) Qui – scrive – la distanza tra la politica e i migliori è una voragine che la crisi allarga. Ci sono troppi “figli” che se ne vanno. E altrettanti “figli di” che restano. Legittimi, naturali e adottivi, prova di un corporativismo familiare malato». Parla della camorra, evidenzia come siano mancate due virtù: il coraggio di cambiare (aprire i recinti della rappresentanza, farvi entrare i migliori, far vincere le idee) e la prudenza (hanno imbarcato tutti pur di vincere).
Barbano però non si accoda. «Sono (Caldoro e De Luca, ndr) impresentabili? No, sono due amministratori che hanno dimostrato, tra difficoltà che avrebbero fatto tremare i polsi a molti colleghi del Nord, come sia possibile avviare e condurre esperienze amministrative trasparenti. La loro rivincita dopo cinque anni prova anche la debolezza di tutto ciò che sta attorno a loro e non è cresciuto». Barbano ha elogiato anche gli altri candidati. Perché in questa terra provarci è già tanto.
Un editoriale in controtendenza e da elogiare. E che porta dritto a una domanda: perché, nel caso del pallone, del Napoli, di Benitez e De Laurentiis, la lungimiranza, la sensibilità e la profondità del direttore del Mattino sono evaporate per lasciare invece spazio a un giornale che potremmo definire una sorta di mister Hyde da bar dello sport? Il timore è che la risposta stia nella concezione culturale del calcio, considerato anche dai migliori alla stregua di uno sfogatoio, di un mondo primitivo dove vigono principi primordiali e non hanno cittadinanza né la logica né le regole del buon senso. Non si spiega altrimenti questa metamorfosi editoriale. In realtà tra quelli che vivono e affrontano questa difficile realtà c’è anche il calcio Napoli, col suo presidente che in questi anni ha portato la società a essere una realtà sia in Italia sia in Europa, e c’è stato anche un allenatore spagnolo che ha provato in tutti i modi in questo biennio a cercare una sponda che recepisse le sue parole e che non si fermasse alla logica immediata del risultato. Si badi bene, tentativo che Benitez ha fatto nell’interesse e per amore di Napoli, non per proprio tornaconto. Come i fatti hanno dimostrato (andrà ad allenare il Real Madrid), la parentesi napoletana non ha in alcun modo scalfito il prestigio e la caratura dell’allenatore.
Se c’è il coraggio di dire agli elettori che non vanno a votare per il meno peggio e che non sono tutti ladri e corrotti quei signori i cui nomi sono sulla scheda elettorale, lo stesso si potrà dire ai tifosi: far capire loro che i processi di crescita sono lunghi, che anche loro hanno un ruolo e che nel calcio è importante sottrarsi al rumore di fondo. Solo così si cresce e, di conseguenza, si ottengono i risultati.
Massimiliano Gallo