Questa di Maurizio Sarri, napoletano di nascita da genitori toscani occasionalmente a Napoli per motivi di lavoro, e che in Toscana ha sempre vissuto, prendendone l’accento (“Non mi sento toscano, lo sono”), sembra una scelta saggia di De Laurentiis per ripartire dopo il sogno spagnolo.
A parte gli incidenti di percorso del secondo anno, a causa forse di un distacco già programmato, Benitez è caduto per l’impossibilità di avere nei ruoli chiave della squadra quei calciatori adeguati alla sua idea di gioco. Così che inseguire Emery, l’allenatore del Siviglia, dopo il naufragio del progetto-Benitez, era apparso un non senso. Un altro tecnico spagnolo che non avrebbe avuto quei due, tre campioni necessari per rilanciare il progetto di Benitez e che avrebbe avuto le scontate difficoltà del primo anno in Italia.
Non convincevano neanche gli altri nomi che circolavano trattandosi di tecnici che forse hanno esaurito la spinta della loro carriera e il cui inserimento a Napoli e nel Napoli, binomio del tutto particolare per passione e per difetti, per troppe attese e troppe delusioni, si preannunciava non facile, abbastanza estranei per caratteristiche personali a questo nostro ambiente infuocato e pretenzioso.
Forse non era sbagliata la scelta di Mihajlovic da tempo in Italia da calciatore e da allenatore e con un innegabile carisma, fatto di durezza e ironia, con cui avrebbe retto alle nostre pressioni vulcaniche.
Sarri sembra una scelta felice. È un uomo sereno, sicuro, temprato alle vicende del calcio, non solo per l’età, 56 anni, ma per averne percorso tutte le categorie in 25 anni di panchina e non ha importanza, se non vogliamo fare subito i sapientoni che siamo, il fatto che Sarri abbia allenato solo quattro anni in serie B ed è appena sbarcato in serie A l’anno scorso. Perché non c’è dubbio che Sarri, accanito fumatore che ricorda il petisso, sia un allenatore moderno e, forse, proprio la lunga gavetta nelle serie inferiori gli ha consentito di provare e riprovare, di studiare e attuare il suo calcio.
È moderno per il lavoro maniacale sul campo e al computer (dedica al calcio tredici ore al giorno) da essere uno dei più informati, aggiornati e meticolosi studiosi del pallone. Ha la personalità per reggere il particolare ambiente napoletano. Che cosa possa fare è un altro discorso. A parte i leggendari 33 schemi del suo bagaglio tattico e la specializzazione nello sfruttare le “palle inattive”, ma Sarri non è solo questo, il nuovo tecnico azzurro ha il compito di creare una squadra superando gli equivoci, le lacune e i mal di pancia del recente passato. Sarà un altro Napoli.
La campagna-acquisti sarà determinante per capire dove potrà arrivare Sarri nel suo primo anno napoletano (contratto biennale, uno più uno). Ma ci sono condizioni indispensabili per favorirne il lavoro. La prima condizione è che quei giocatori (tra gli stranieri) che si sentono esuli a Napoli e hanno mancato in pieno il loro contributo, soprattutto nel secondo anno di Benitez, non possono rientrare nel nuovo corso. Sarri ha bisogno di lavorare con la completa dedizione dei giocatori a disposizione e il suo metodo di lavoro, definiamolo assillante e pignolo, non ammette prese di distanza e insofferenze.
De Laurentiis certamente sa chi è Sarri. Non si sa, invece, come il presidente potrà muoversi sul calciomercato con una società priva di adeguate competenze e conoscenze. Ma se Sarri ha accettato, una minima base per operare deve esserci.
L’impressione è che si vada verso una squadra-simpatia, giovane, di gioco vivace, combattiva, senza fissare alti traguardi. Quello che insegna Sarri (pressing di squadra e non individuale, gioco senza palla, movimenti, intensità in tutte le zone del campo e via dicendo) non s’è visto nell’ultimo Napoli. La lezione sarà dura (Sarri si gioca la prima panchina prestigiosa della sua carriera). Chi non ci starà condannerà il Napoli a una stagione d’azzardo.
Mimmo Carratelli