Se siano state una mera provocazione le parole di De Laurentiis relative al futuro del San Paolo oppure se siano un effettivo cambio di rotta lo sapremo presto, tuttavia è bene chiarire alcuni punti senza prendere le parti né del Napoli né del Comune.
Il progetto di restyling del San Paolo (che non è il rifacimento dei bagni, dell’impianto elettrico e la sostituzione dei sediolini, che sono semplice manutenzione straordinaria) deve seguire l’iter accelerato disegnato dalla Legge 147/2013 previsto in 315 giorni. Un tempo massimo che va dalla presentazione dello studio di fattibilità/progetto definitivo fino al rilascio delle autorizzazioni all’avvio dei lavori.
Se si trattasse semplicemente di ristrutturare lo stadio senza aggiungere elementi e funzioni (negozi, museo, ristoranti etc) la procedura sarebbe più rapida (massimo 180 giorni) ma non sembra essere questo il caso.
Siamo oggi al 22 giugno 2015: se il progetto fosse presentato il 1° luglio, l’iter si svolgerebbe nell’arco dei prossimi undici mesi con un bel problema però, ovvero che a maggio/giugno 2016 ci saranno le elezioni comunali e quindi materialmente l’attuale Assemblea non potrebbe deliberare sul via libera al progetto.
Per la sistemazione degli spazi intorno allo stadio (piazzali, strade, etc) è anche probabile che sia necessaria una variante urbanistica al Piano Regolatore Generale e questo porterebbe ad un’ulteriore dilatazione dei tempi.
E in risposta a De Laurentiis suscita qualche perplessità l’intervista rilasciata da De Magistris che parla come se il Comune avesse i mezzi economici e l’opportunità di fare a meno del club nella ristrutturazione del San Paolo, sostenendo anche che nel nuovo stadio dovrebbe permanere la possibilità di fare concerti (un aspetto che ha generato conflitti con De Laurentiis). Tuttavia di fronte a un investimento (presumibilmente privato) di decine di milioni di euro la convenzione con il gestore dovrebbe essere esclusiva e quindi tutt’al più toccherebbe al gestore la decisione sull’opportunità e l’organizzazione di concerti, non certo al Comune. Il sindaco è entrato in carica in piena emergenza cittadina, al limite del dissesto, in piena emergenza rifiuti, e chiaramente non esistevano fondi per la manutenzione del San Paolo, e tuttavia pur non avendo il denaro necessario a gestire l’impianto non ha mai fatto un passo per vendere l’impianto o per spingere il Napoli a farsene carico con una concessione di lunga durata (50 anni almeno).
De Laurentiis dal canto suo lamenta da parte del Comune un costante ostruzionismo di cui non si è avuta traccia né a Torino per lo Juventus Stadium, né a Roma per il nuovo stadio dei giallorossi, né tanto meno a Milano per il progetto del nuovo stadio del Milan, dove le varie amministrazioni comunali si sono invece spese in favore dei club per agevolare il processo. E ha ragione De Laurentiis a lamentarsi della mancata riparazione della Curva A e dei bagni, lavori che sarebbero negli anni toccati al proprietario dell’impianto (il Comune e mai effettuati), tuttavia il presidente del Napoli ha torto nella misura in cui avrebbe potuto scegliere di costruire uno stadio nuovo e di proprietà e non l’ha fatto.
E c’è poi il Coni ente terzo chiamato a valutare il San Paolo e che ha stabilito che il canone d’affitto pagato (in ritardo) dal Napoli era eccessivo e non giustificato basandosi sulle condizioni dello stadio. Abbiamo dunque un quadro desolante, nel quale è impossibile stabilire in via definitiva se ci sia una parte maggiormente responsabile, ma resta la domanda rivolta ad entrambi: adesso chi vuol fare cosa?
Andrea Iovene