Un quarantenne in quarantena (fase 2) – Scene da The Walking dead, i vecchi si sono ripresi i cantieri, c’è chi ha la sindrome di Stoccolma e non vuole più uscire
Sono le 2 del mattino del 4 maggio.
Sono le 2 del mattino di lunedì 4 maggio e la sirena ha smesso di suonare.
L’auto della protezione civile (per Napoli ne girava solo una, ma con incredibile abilità sono riusciti a far sembrare che ne fossero venti) è rientrata in garage, l’altoparlante ha smesso di lanciare il suo monologo dall’inflessione sempre più dialettale e i due manichini che ci vivevano dentro sono tornati nella vetrina di Coin.
I canari hanno perso la battaglia, non sono diventati i padroni del mondo come avevano sognato.
E i vecchi… I vecchi si sono ripresi i cantieri.
Orde di anziani a mani giunte dietro la schiena, con indosso giacche dell’ultima assemblea sindacale alla quale hanno partecipato, hanno varcato porte, portoni, cancelli ed ora sono lì, sbavanti e adoranti a fissare operai sudati, buche appena asfaltate, scavatrici in azione.
Se un vecchio ti avvicina devi scappare, basta che ti tocchi, basta che ti racconti di “quella volta nel ’52 quando…” e ti ritrovi a vagare con lo sguardo nel vuoto ed una pasticca di Kukident in tasca.
I poi i bar… I bar sono tutti come quelli della famosa pubblicità del rum, come quelli di Caracas, anzi ancora peggiori. Dentro brutti ceffi con guanti, mascherina e cappellino, preparano micidiali caffè al plutonio da servire a clienti altrettanto brutti pronti ad agguantare la dose agognata e fuggire via, prima che le squadre della morte intervengano a sanzionare.
Ogni sosta potrebbe essere letale, ogni sguardo prolungato alla carta argentata che separa la bocca (a sua volta schermata dalla mascherina) dal nero oro potrebbe attirare gli sbirri, spietati cacciatori verbali.
Verbali per tutto. Dicono che in questo nuovo mondo ci saranno sette verbali per ogni uomo. Io preferivo le vecchie proporzioni però…
Ora sono le 18 di un qualsiasi giorno della prima settimana post Covid-19, un aereo ha appena attraversato il cielo, un motorino passa con due animali a bordo che congiunti potrebbero esserlo solo per effetto di un sacro giuramento ndranghetista, un gruppo di ragazzi si saluta con una serie di pacche, cinque, movimenti e toccamenti che non capisco se sono massoni o stanno facendo il gioca jouer.
Eccoli i due mondi che si combattono. Da un lato ciò che si atteggia a Stato, dall’altro chi dello Stato se ne fotte, entrambi comici e patetici in egual misura.
E ci siamo noi, che fino a ieri eravamo epidemiologi, infettivologi, statisti e statistici ed ora siamo qui, disoccupati, a fare i conti con una libertà che un po’ desideriamo un po’ rimandiamo al mittente esattamente come John Rambo quando tra il depresso e l’incazzato si nascondeva nella giungla perché incapace di tornare alla vita di tutti i giorni.
Rasserenatevi allora, abbiamo la panza, ma siamo tutti Rambo.
Il disagio da fase 2 comunque si sente, alcuni di noi lo combattono incontrandosi in una saletta virtuale, per ora siamo in 3. Mario, Massimo ed io.
Mario quello più sconvolto, durante la fase 1 ha dovuto fare amicizia con la sua famiglia e ne è uscito provatissimo, anche perché per la prima volta in vita sua ha pure fatto qualcosa in casa. Ora che è libero gli sembra però di non poter più fare a mano di quella situazione, soffre di una curiosa sindrome di Stoccolma. Ogni tanto si interrompe e piange, come si faceva a 18 anni alla fine del campeggio estivo. Ha pure scambiato il numero di cellulare con i figli, ma sa che non sarà più lo stesso.
Massimo nvece è semplicemente smarrito. In questi lunghi giorni di clausura ha postato di tutto, ha attraversato l’intera “scala cinquestelle”, quella che definisce il grado di complottismo. Ha suggerito che il virus fosse stato prodotto in laboratorio in Cina, importato con una cassettiera dall’India, rubato in una merceria di Kiev. Ha tracciato grafici e curve fino a consumare tutte le matite rubate in anni e anni di Ikea ed ora è fermo, imbambolato e non vuole uscire, rigira tra le mani il suo diploma di “Maestro dietrologo” e ripete come un mantra “Wuhan” “Ascierto” “mauriziozaccone”, “ffp3”…
Nella riunione si infila una bambina, piange ed è incazzata, la d.a.d. (quando una roba è una cacata ne fanno un acronimo) non funziona e, stranamente, le maestre non riescono a collegarsi con 42 bambini in contemporanea. E quindi lei piange, non perché le venga negata l’istruzione, ma perché vorrebbe almeno vedere le facce dei suoi compagni di classe. Le monta dentro la “raggia” e dice: “a settembre, quando mi vorranno in classe dirò che ho problemi tecnici”. Non fa una piega.
Infine ci sono io, che mi rifugio nelle vostre lettere e le leggo con avidità…
D. “Ehi, sono Marta, finalmente siamo liberi, è tutto finito, possiamo correre, ballare, amare, tornare alla vi…. Coaf coaff, scusa un po’ di tosse, coaff, coaff”
R. “Ciao Marta, felice tu sia così entusiasta”
(La mia risposta non risulta letta, la casella è stata disattivata dal contatto erede)
D. “Cosa ci resta di tutto questo?”.
R. “Non molto secondo me, qualche kg, materiale per 5 anni di puntate di Roberto Giacobbo e la consapevolezza che per ogni virus esiste un lievito in grado anestetizzarlo”.
Infine mi scrive un ragazzo dalla Svezia, si definisce un osservatore esterno e chiede:
D. “La scuola non ha ripreso, la giustizia non ha ripreso, il turismo non ha ripreso, non era meglio invece che fase 2, chiamarla fase justeat?”.
R. “mmm, just shit, direi.”
Per le vostre domande il nuovo indirizzo al quale scrivere è: unquarantenneinquarantena@gmail.com