Al CorSport: «Perdemmo quello scudetto perché credevamo di averlo già vinto. I ribelli? Eravamo tutti uniti poi in quattro presero le distanze. Dallo scudetto all’oblio»
Il Corriere dello Sport, con Antonio Giordano intervista Salvatore Bagni, uno dei protagonisti del primo scudetto del Napoli. Il calcio non è fatto solo dei calciatori fuoriclasse che hanno visibilità e stipendi altissimi ma al sistema nel suo complesso, dice.
Bagni ricorda il suo passato.
«Avevo 18 anni, nessuno si era accorto di me. Giocavo nel Kennedy, al Carpi, e ormai pensavo che si stesse facendo tardi. Mi immaginavo metalmeccanico, come tanti amici miei».
Del periodo al Napoli racconta:
«Napoli è la città nella quale ho raccolto l’affetto più grosso, che ricambio tornandoci spesso e avendo una serie di rapporti d’amicizia trentennali. Ieri mi saranno arrivati un centinaio di WhatsApp per ricordarmi del primo scudetto, quello del 10 maggio dell’87. Fu un’impresa. Ma il Napoli più forte è quello che ha poi perso lo scudetto. Avevamo aggiunto Careca – hai capito: Careca? – a Maradona, Giordano e Carnevale. Fummo battuti dal Milan perché eravamo ormai convinti di averlo vinto, poi si entrò in conflitto con Ottavio Bianchi l’allenatore con il quale oggi ho un ottimo rapporto. Allora eravamo distanti, ognuno aveva tesi diverse, contrastanti, e finì come si sa. Con la rottura, con il comunicato».
Dice di ricordare tutto di quelle ore.
«Ferlaino che ci chiama per il faccia a faccia e chiede ad ognuno di noi con chi sta, se con l’allenatore o contro. La sera prima di questa riunione, in albergo a Posillipo, eravamo tutti uniti. Al mattino, dopo qualche pressione presidenziale, in quattro presero le distanze. Fu quella la delusione, che il tempo ha ovviamente ammorbidito. Io finii la mia carriera: ero titolare in Nazionale e mi ritrovai fuori dai convocati agli Europei. Quando Vicini mi chiamò rimasi pietrificato: ‘Sai, devo pensare alla stabilità del gruppo’. Poi gli ho vomitato addosso tutta la mia rabbia. Dallo scudetto all’oblio».
Bagni parla anche della tragedia della perdita del figlio.
«Io ho una famiglia spettacolare, che porta dentro di sé il dolore per una tragedia che non ha fine. Dopo l’incidente in cui perdemmo Raffaele, sono cambiato per un po’, ho finto di essere scorbutico, scortese. Pensai che potesse essere quella la soluzione per fronteggiare il dolore, indurirmi, indurirci. Ci è toccato anche la sofferenza egualmente atroce del trafugamento della salma. Ma io, mia moglie Letizia, Elisabetta e Gianluca abbiamo valori forti, siamo riusciti a resistere, non è stato semplice e non lo sarà. Viviamo nel rispetto, per lui che non c’è più, e anche del nostro, che siamo qui a rimpiangerlo».