“I filosofi hanno solo diversamente interpretato il mondo; ora si tratta di trasformarlo.”
Così recitava l’undicesima Tesi su Feuerbach di Karl Marx, l’ex-giovane hegeliano di sinistra che voleva farla finita con l’astrattezza reazionaria dell’idealismo classico tedesco e gettare le basi per una trasformazione radicale della società in senso comunista: in altre parole, il Paradiso in Terra. Certo, comunismo e calcio fanno un po’ a cazzotti per varie ragioni, anzitutto perché lo sport in generale, quando è legato a doppio filo al business, viene sempre visto come un epifenomeno del Capitale.
Ma credo, anzi, sono sicuro che Karl Marx da Treviri mi perdonerà se mi sono permesso di citarlo in un articolo che parla di calcio. Mi perdonerà perché mi servo delle sue parole per parlare di un cambiamento epocale – in ambito calcistico, ovviamente – che ha come protagonista la Società Sportiva Calcio Napoli. Quest’ultima, anche se non ci farà entrare nel mondo dell’uguaglianza totale, ci ha dato, e speriamo ci darà, grandi soddisfazioni. Ecco, dunque, quanto possiamo chiedere al nostro Mister in tuta per le ultime otto partite: di portarci in cima al calcio italiano e regalarci un finale di stagione superumano. Sarebbe una rivoluzione sotto vari punti di vista.
Dopo quattordici anni di dominio nordico, una squadra a sud di Milano sta vivendo un sogno. Con budget limitato, con giocatori che, per lo più, non sono i classici top player strapagati, con strategie finanziarie mirate e, specialmente, con un allenatore che viene dalla gavetta, da quella provincia italiana che sa di caffè e nazionali, di gazzette locali e lavoro duro, stiamo ancora lì, a giocarci il tricolore con tenacia, strafregandocene di tutti quelli che cercano di attentare alla nostra tranquillità.
La Società Sportiva Calcio Napoli, che lo si voglia o no, rappresenta un unicum non solo a livello nazionale, ma, oserei dire, a livello europeo se non mondiale. Una realtà concreta, che da anni ormai sta ai vertici del calcio italiano e fa sentire la propria voce anche nelle competizioni continentali. Fino a questo punto, del resto, la stagione del Napoli è stata quasi perfetta. Tanto che si può dire, a buon diritto, che esprimiamo il miglior calcio della Serie A, che abbiamo rotto con la tradizione tutta italiana del catenaccio e contropiede, che sappiamo valorizzare i giovani e all’occorrenza sfruttare anche i veterani. Proprio per questo motivo, proprio per quanto di buono, anzi, di ottimo, fatto finora, dobbiamo continuare a combattere senza fermarci. Partita dopo partita, spalla a spalla.
Dimostrandoci più forti di quei “poteri forti” che ci vogliono fuori dalla lotta scudetto, degli errori arbitrali, delle congiure pseudo-giornalistiche e mass-mediatiche in generale. Certo, quando si parla di Napoli, sembra che le notizie debbano essere sempre negative, che, se all’ombra del Vesuvio facciamo qualcosa di buono, debba passare in secondo piano per fare spazio alle tragedie quotidiane, alla mala politica, alla criminalità organizzata. Sembra, come disse una volta Massimo Troisi in un’intervista, che, visto che abbiamo dei problemi secolari, non possiamo essere felici in nulla. E che, se esultiamo per la nostra squadra di calcio, siamo dei nichilisti senza testa, dei libertini irrecuperabili, dediti alla nullafacenza dall’alba dei tempi. Ma non è così. Lasciamo ai moralisti il loro moraleggiare senza fine, le loro inutili raccomandazioni, i loro consigli tutt’altro che disinteressati. Godiamoci questo finale di stagione, rendiamo il San Paolo una bolgia infernale tutte le volta che il Napoli gioca. Evitiamo di cadere nelle trappole che sorgono un po’ ovunque. L’estate è lontana, lasciamo perdere il calciomercato. Uniamoci tutti, perché – perdonami Marx – non abbiamo nulla da perdere se non le nostre catene.