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Su Pagina99 un reportage sulla Napoli innovativa

Su Pagina99 un reportage sulla Napoli innovativa

Pagina 99 è una settimanale tornato nelle edicole da qualche mese, dopo un’esperienza di breve durata come quotidiano. L’ultimo numero è dedicato al capoluogo partenopeo – “Oltre Napoli. Tra startup locali e colossi globali, prove tecniche di Vesuvio Valley”- nell’articolo di apertura firmato da Giuliana De Vivo si fa luce su tutte quell’esperienze nel campo dell’innovazione troppo spesso ignorate come lo «spin off NM2 Network Monitoring and Measurement Tools: un software di analisi del traffico di Rete, creato dal professore Antonio Pescapè e dai suoi soci, tutti dottorati con lui, che oggi viene utilizzato anche dalla US Navy». Gli esempi sono numerosi e sono stati raccontati il 16 marzo in un evento che ha visto tra i relatori oltre al professor Pescapè, altri protagonisti di queste iniziative spesso coadiuvate dal «programma di accelerazione Tech-Hub messo in piedi dalla Federico II assieme alla Camera di Commercio ed al Banco di Napoli».

Nonostante i numerosi tagli ed il calo degli iscritti che ha investito l’università italiana la Federico II resiste e sostiene proposte di questo tenore.

Nel pezzo viene citato uno studio della Fondazione RES [Università in declino. Un’indagine sugli atenei da nord a sud. Donzelli Editore, 32 euro] curato dal Professore Gianfranco Viesti in cui si sottolinea che l’ateneo federiciano «pur nel crollo generale di iscritti dal 2003 ad oggi, resta attrattiva; ha perso oltre il 25% degli studenti contro il 40% della Sapienza, gli immatricolati nell’anno accademico sono stati 11.404 più della Statale di Milano, tremila in meno dell’ateneo della capitale».

Quello che manca – un problema atavico – è la capacità di fare rete come sostiene il rettore Marelli o per Pescapè la conoscenza e la consapevolezza da parte della politica di cosa sia l’innovazione. Napoli dunque rimane una città potenzialmente piena di risorse con una crescita forte nel settore imprenditoriale «negli ultimi 40 anni + 115,8 %, solo la capitale ha fatto di più» ed in uno scenario industriale – con tutte le sue difficoltà occupazionali – che sta cambiando pelle: le piccole imprese stanno compensando la «desertificazione delle grandi – l’Ilva a Bagnoli, l’ex Cirio a Caivano, la Olivetti a Pozzuoli».

In chiusura del pezzo Paolo Maddalena, ex presidente della Corte Costituzionale, considera però Napoli «una bella addormentata» a cui servirebbe un cambio di prospettiva e gli investimenti della Apple e Cisco li considera solo uno sterile sfruttamento, senza possibilità di sviluppo. «L’anima di Napoli non è fatta solo di Pulcinella. Ma di dignità e intelligenze da buttar via. Però noto che c’è una rassegnazione di fondo, ti dicono. E che vuoi fare, vuoi cambiare il mondo? Ecco, io sì. I presupposti ci sono, ma si tende a volere qualcuno, come un re, al quale affidarsi.»

A fare da controcanto a questi sprazzi di ottimismo c’è Cristiano De Majo, scrittore napoletano da tempo trapiantato a Milano e caporedattore di Rivista Studio, il quale racconta la generazione dei 30/40enni di classe medio-alta che sono andati via da Napoli e non intendono farvi ritorno. De Majo ha raccolto tre testimonianze il cui minimo comune denominatore è spesso la critica – un evergreen –alla borghesia napoletana : «individualisti fino al midollo, incapaci di fare sistema»; «per me ha più colpe la borghesia napoletana di sinistra, conservatrice, che la camorra, le forze migliori di una città fanno crescere, dalle peggiori non mi aspettavo niente». Il filo conduttore di questi racconti è l’impossibilità di poter ricreare a Napoli – una città piatta dal punto di vista intellettuale, divisa per ceti sociali che non comunicano tra loro e si culla nei suoi luoghi comuni – quell’appagamento professionale e culturale sviluppato altrove. Infine l’autore del pezzo l’interroga circa la possibilità di un ritorno, nessuno dei tre pensa di farlo nell’immediato, ma solo da pensionato con una casa vista-mare.

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