Udinese-Napoli è stata giocata ormai quattro giorni fa e ancora si porta dietro il suo carico di tensioni extracalcistiche. Il Napoli, però e ovviamente, verrebbe pure da dire soprattutto, ha disputato una partita mediocre in cui ha meritato di perdere. C’è un grande però, in ogni caso, che aleggia e aleggerà su questo Udinese-Napoli fin dal 45esimo del primo tempo della sfida del Friuli. Un momento maledetto. Tocco semplice all’indietro verso Gabriel, poi la fiera degli orrori del giovane portierino brasiliano: controllo sbagliato, uscita sballata per cercare di chiudere Zapata e porta sguarnita sulla splendida coordinazione volante di Bruno Fernandes.
Un peccato, per l’ex portiere del Carpi e per il Napoli. Per lui, perché macchia con un errore gravissimo il suo esordio in campionato con la maglia azzurra (gialla) ma pure una prestazione fino a quel momento ampiamente positiva, con due grandi interventi (uno riuscito, uno solo sfiorato) sui due calci di rigore ancora di Fernandes più l’uscita coraggiosa sulla ribattuta di Felipe subito dopo il secondo penalty. A questi, c’è da aggiungere un altro episodio della partita poi passato in secondo piano: l’intervento, sempre di Gabriel, sulla rovesciata di Badu e sul possibile tap-in di Zapata o Thereau. Un’uscita coraggiosa, a corpo morto, poco prima del patatrac. Un peccato per il Napoli che senza quel gol balordo avrebbe potuto magari riorganizzarsi nell’intervallo e provare a cambiare l’inerzia della gara in una ripresa iniziata col risultato di parità. Invece, niente.
Per questo, sparare su Gabriel è giusto ma al tempo stesso eccessivo. Perché la sua papera è potenzialmente decisiva sul risultato finale ma anche gli interventi precedenti lo sono. Quindi, come dire: bravo lo stesso, però potevi fare meglio. Molto meglio. La domanda vera, circolata ovviamente in questi giorni, riguarda invece cosa avrebbe potuto fare Reina al posto del suo vice brasiliano. Il portiere spagnolo, che anche su queste pagine abbiamo talvolta criticato per svagatezza e approssimazione, forse non avrebbe modificato l’andamento della gara in modo significativo. Però, immaginare lo stesso rendimento per una difesa guidata da Pepe Reina è un bello sforzo di fantasia. Bisogna tornare a Bologna, anche se Pepe di errori in questa stagione ne ha commessi. Quindi, anche se non avremo la prova oggettiva perché la prova oggettiva non esiste: il fatto che quando manchi Reina il Napoli subisca tre gol, e soprattutto fornisca la peggior prestazione difensiva della sua stagione, non può essere un caso. E non è una questione di doti o di fondamentali. Anche perché il Reina un po’ sulle nuvole di questa seconda parte di stagione è un portiere sempre perforato nelle (poche) volte in cui è stato chiamato in causa. Come detto, è altro. È presenza, carisma, esperienza. Leadership, comando della difesa. Una sorta di joystick mentale con cui Pepe manovra e striglia e sistema e rincuora i suoi scudieri.
Cose che Gabriel non può avere. Metterlo lì è stato chiedergli una cosa più grande di lui in un momento in cui tutto, soprattutto per i demeriti del Napoli, è andato stortissimo. Per questo, Sarri è in ansia per il suo recupero. E ci mancherebbe altro. Le ultime indiscrezioni riportate da Roberto Ventre sul Mattino raccontano di un Reina ancora in forte dubbio, più no che sì domenica in campo contro i veneti. Per Sky, la decisione finale sul possibile impiego nella sfida del San Paolo dipenderà solo dalle sue sensazioni, dall’autodiagnosi fondamentale di un portiere sui suoi muscoli. Quelli che gli permettono di saltare, volare, balzare. Di coprire la porta. Altrimenti, toccherà di nuovo a Gabriel, che non deve farsi prendere dal panico delle responsabilità, anche se non sarà facile. Basta chiedere a Rafael cosa vuol dire dover sostituire uno come Pepe Reina, o magari proprio Pepe Reina. Vuol dire sentirsi schiacciati, vedersi asfaltata la propria personalità. E quindi, vedersi appiattire anche doti che eistono, eccome. Il primo Rafael era un saltimbanco eccezionale, e un po’ si è visto anche a Doha l’anno scorso. Il secondo era un portiere spaurito, intimorito da tutto quanto poteva succedergli attorno. Tanto da diventare terzo portiere, senza spiragli di risalire le gerarchie, in un club che per lui aveva investito cinque milioni di euro.
Il ritorno di Reina diventa quindi fondamentale. Per gli equilibri mentali dell’intera squadra, anche solo per una questione di “aura” tipica dei grandi campioni. Aspetti psicologici che esistono, che forse si moltiplicano quando coinvolgono un ruolo delicato come quello del portiere. C’è anche un precedente storico ad avvalorare questa tesi. Un altro grande Napoli in lotta per lo scudetto, 1989/90, dovette rinunciare per un turno al suo estremo difensore titolare, il compianto Giuliano Giuliani. Era il 30 dicembre 1989, si giocava Lazio-Napoli. Finì 3-0 per i biancocelesti, con un Di Fusco apparso spaurito, incerto, titubante. L’ultima volta in campo c’era stato da attaccante di riserva, nella 34esima inutile giornata del campionato precedente, Ascoli-Napoli 2-0. La sua partita allo stadio Flaminio, stavolta da portiere, fu descritta così dall’inviato de La Stampa: «Già priva di un pilastro, la retroguardia di Bigon ha dovuto rinunciare anche a quell’altro rappresentato dal portiere Giuliani. Ora, questo Giuliani non sarà un fenomeno, ma se Di Fusco gli ha fatto per anni da riserva, una ragione dovrà pur esserci. Di Fusco non ha colpe gravissime sui tre gol di ieri, ma la sua incertezza, affiorata in una serie di respinte tremebonde, ha condizionato l’intero reparto». Sotto, il video di quella partita.