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Dal Pino va a un’altra velocità, sta portando la Serie A sul mercato (quello vero)

Un manager vero nello sclerotizzato calcio italiano. Parla poco, liquida Marotta, convince Agnelli, la grana diritti tv per lui è un’opportunità

Dal Pino va a un’altra velocità, sta portando la Serie A sul mercato (quello vero)

Il mantra dell’industria

Si fa presto a dire industria. “Il calcio è un’industria” è stato il mantra utilizzato nelle settimane buie del coronavirus. “Il mattino ha l’oro in bocca” dei favorevoli al ritorno in campo. Di coloro i quali erano terrorizzati all’idea che il carrozzone si fermasse. Come se essere un’industria fosse di per sé un lasciapassare. Senza peraltro soffermarsi minimamente sui conti dell’industria né sul modo in cui è stata fin qui guidata.

In questi mesi, hanno parlato tutti o quasi. Sia del fronte sì sia del fronte del no. Hanno parlato – spesso – Spadafora, Malagò, Gravina, Cairo, Cellino, Lotito per interposta persona. Il presidente della Figc ha detto la sua anche a vittoria ottenuta, per lui è stato un successo nonostante i cialtroni, i filosofi dell’ovvio, i negativi. Saper vincere, diceva qualcuno, è più complesso di saper perdere.

Dei vertici del calcio italiano, soltanto una persona è rimasta fondamentalmente in silenzio. Non a caso l’unico vero manager della sui generis industria calcio. Paolo Dal Pino, eletto a maggioranza l’8 gennaio di quest’anno, nemmeno cinque mesi fa. Presidente della Lega con i voti contrari di Inter, Juventus e di Cairo. Niente male. In altri casi, avremmo parlato di un dead man walking. Lo definimmo “il 14 luglio del calcio italiano”: Lotito, Percassi e De Laurentiis misero sotto la nobiltà, o presunta tale. Fu la vittoria della borghesia. Un altro mondo rispetto all’alzata di mano che elesse Micciché e su cui indaga la Procura di Milano.

Non si parla inglese e non c’è la merchant bank

Per il calcio italiano non vale nemmeno la frase sprezzante con cui nel 2005 Guido Rossi bollò la band dalemiana: “A Palazzo Chigi c’è l’unica merchant bank che non parla inglese” disse a proposito della benedizione alla scalata Telecom da parte di Colaninno. Dal Pino non ha trovato alcuna merchant bank, solo un’industria in cui – tranne rare eccezioni – nessuno parla inglese. E caliamo un velo sul resto, sulle elementari regole di bilancio.

Borghesia abbiamo detto. Borghesia nel senso originario del termine. Perché Dal Pino nelle industrie – quelle vere – ci è cresciuto. Il suo curriculum è troppo lungo, prenderebbe troppo dell’articolo. È passato dalla berlusconiana Mondadori al Gruppo Repubblica, a Telecom. È uno che ha messo d’accordo – sulla sua persona – Berlusconi, De Benedetti, Geronzi, Tronchetti Provera.

Il 3 marzo la Gazzetta dello sport – che quando si tratta di politica sportiva, non interviene mai a caso – scrisse di “giorno del giudizio” per Dal Pino: “alcuni vorrebbero già le sue dimissioni”. Erano i giorni caldi del coronavirus. Non era chiaro a tutti quel che sarebbe arrivato, soprattutto nel Nord Italia. Il calcio, come al solito, credeva di vivere in una dimensione di extraterritorialità.

Due mesi e mezzo dopo, agendo in silenzio, Dal Pino ha portato a casa la ripresa della Serie A. Ma non lo considera un traguardo. Non potrebbe esserlo. Si è trovato a dover gestire un’emergenza., e lo ha fatto. Un manager deve saper convivere con le difficoltà. È pagato (anche) per questo.

Ha archiviato la pratica Marotta

Dopo aver portato a casa il ritorno della Serie A, ascolta con pazienza Marotta che sbraita e vorrebbe cambiare il programma della Coppa Italia faticosamente concordato col governo. Ascolta, prova a convincerlo, discute animatamente. Poi, poiché è un manager, e fondamentalmente il tempo è denaro, accelera e va alla scontro. “Votiamo”. E Marotta va sotto. Fascicolo archiviato. In altri tempi, se fossimo stati ancora nell’ancien régime, ci si sarebbe inchinati ossequiosi alla nobiltà. Ora non è più aria. E poi ci sono tante altre cose da fare. Troppe.

Le situazioni possono cambiare da un momento all’altro. E può accadere che il coronavirus produca un’accelerazione nella frattura dei rapporti col partner più fedele sul fronte televisivo: Sky, che trasmette da diciotto anni la Serie A. E mentre ci si prepara a una eventuale battaglia giudiziaria, con l’invio dell’ingiunzione di pagamento, Dal Pino porta al calcio italiano un biglietto per un’altra dimensione: il mercato, quello vero.

Agnelli ha cambiato idea

La proposta del gruppo britannico Cvc, che ha già investito nella Formula Uno: due miliardi subito, e la gestione del brand Serie A compreso i diritti tv. Modello Premier League. Poi, tra dieci anni, o si quota in Borsa la Serie A oppure la Lega riacquista la quota Cvc. La proposta è già all’esame della Serie. Dal Pino ha creato una commissione ristretta: De Laurentiis, Percassi, Lotito e Agnelli che all’epoca votò contro ma che evidentemente ha capito che Dal Pino è un’opportunità per svecchiare il calcio italiano. Tant’è vero che, pur senza aver gradito la Coppa Italia in pochi giorni, non ha montato la canea dell’Inter e di Marotta.

Dal Pino ha impresso al calcio italiano un’altra velocità. Disse una volta De Laurentiis che Napoli, ma vale anche per l’Italia, è il paese del botta e risposta. Il nuovo presidente della Lega, infatti, non parla quasi mai. Dà le carte rapidamente, gioca su più tavoli come quelli che giocano a scacchi in simultanea. E per ogni problema, crea almeno un’opportunità. L’unico dubbio è che possa essere troppo veloce rispetto alle truppe che guida.

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