Oggi è la festa del lavoro. In Campania, a quanto pare, è quella del “lavoro che manca”. È di oggi la notizia, evidente da tempo a chi, come me, lavora nel mondo dell’impresa privata, dei dati diffusi dalla Cgia di Mestre: la percentuale degli occupati, in Campania, è al 39,2%, ben 11,2 punti percentuali al di sotto della Grecia, vale a dire del Paese maglia nera UE per l’occupazione.
E noi che facciamo? Prendiamo i fondi europei (55 milioni) destinati alla realizzazione di misure anticicliche e la salvaguardia dell’occupazione di cui al seguente link e li buttiamo, a seguito della suggestione del “disastro ambientale”, del “biocidio”, del “traffico illecito di rifiuti tossici delle industrie del nord”, dell’”epidemia di tumori”, etc. in buche nel terreno, inutili analisi, QRcode e concerti di Gigi D’Alessio. Complimenti!
La distrazione di fondi originale è stata opera della giunta Caldoro con la costituzione del fondo Piano di fattibilità “Terra dei Fuochi” PAC III DGR 497/2013, la nuova giunta De Luca, invece di restituire i fondi al loro scopo originale, ne ha semplicemente riprogrammato la destinazione percorrendo, però, la stessa strada del suo predecessore mettendoci, in più, un po’ di fantasia (e di studio di marketing) nella denominazione delle misure: ed ecco che, come si potrà osservare connettendosi al sito http://www.campaniasicura.it/ il Piano di Fattibilità “Terra dei Fuochi” diventa il più rassicurante “Campania Sicura” per trasformarsi, infine, nell’ultimamente lanciato con grande risalto sulle tv locali, SPES (Studio di Esposizione nella popolazione suscettibile).
In una regione con gravi problemi socio-economici come la Campania https://www.bancaditalia.it/media/notizia/l-economia-della-campania-rapporto-annuale-sul-2014
distrarre queste preziose risorse dal loro scopo originario è stato, a mio avviso, un atto irresponsabile, un venir meno al dovere di corretta amministrazione della cosa pubblica da parte della classe politica.
Da sottolineare, nel contesto delle attività sovvenzionate, il fallimento dell’operazione QR code, operazione nata male e gestita peggio, come più volte denunciato.
Confindustria Campania ed Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno idearono il QR-code Campania, un’applicazione per smartphone che avrebbe dovuto avere, nelle intenzioni, lo scopo di rassicurare i consumatori sui prodotti agroalimentari provenienti dalla regione.
Il progetto fu lanciato, con grande enfasi, a fine gennaio 2014: tramite un QR-code stampigliato sulle etichette si sarebbe potuto risalire al produttore, alle analisi effettuate ed alla georeferenziazione del sito di produzione. Ammettendo, così, di avere qualcosa da dimostrare pur non essendovi nulla da dimostrare.
A marzo 2015, in pieno clima pre-elettorale, la regione Campania ha effettuato un ulteriore stanziamento portando a 17,8 milioni di euro lo stanziamento totale per sovvenzionare il progetto (http://www.regione.campania.it/it/news/primo-piano/azioni-per-imprese-agricole-e-agroalimentari-della-campania).
La risposta all’iniziativa, avviata senza alcun vero coinvolgimento degli imprenditori agricoli, pur senza oneri a carico dei partecipanti, essendo ritenuta di nessuna utilità, è stata fallimentare: un vero e proprio flop.
I QR-code sulle etichette, fase finale e scopo ultimo del progetto, sono, se non inesistenti, rarissimi, sull’ortofrutta totalmente assenti.
Il sito dell’iniziativa (www.qrcodecampania.it), che avrebbe dovuto essere il simbolo del successo dell’iniziativa, ne è la vetrina del fallimento.
Da esso si evince che in una regione dove operano 136.872 aziende agricole (ISTAT- censimento generale dell’agricoltura 2010) nonché migliaia di aziende agroalimentari, risultano aver aderito al QR-code, solo 218 aziende agricole, delle quali 118 piccole aziende produttrici di patate da industria per le quali non esiste una confezione su cui poter riportare il QR-code, seguono 15 caseifici, 7 imprese di commercializzazione ortofrutta, 5 cantine, 5 piccole aziende conserviere, 3 distillerie, 2 apicoltori, un oleificio, un salumificio, un allevamento di bovini da carne, un allevamento avicolo, un allevamento di asine da latte e, per concludere, un’osteria, una macelleria, una azienda di surgelazione pesce un’associazione slow food e due cioccolaterie…..
Per colmo, si è voluta addebitare il flop al fatto che l’85% delle aziende agricole campane evaderebbero i contributi Inps. Un ulteriore affronto ai nostri agricoltori: prima “avvelenatori”, ora evasori.
Si tratta di un relativamente limitato spreco di risorse pubbliche legato alla suggestione della cosiddetta “Terra dei Fuochi”, ma oggi, nel giorno della “Festa del Lavoro”, particolarmente doloroso.