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«Mi ha portato nel suo bunker, aveva un ghigno… ho pensato: ‘ora mi uccide’»

Sul Corriere della Sera l’intervista alla vittima di Paolo Massari, assessore di Milano (e giornalista di Mediaset) accusato di stupro: «Voleva che fossi la sua schiava».

«Mi ha portato nel suo bunker, aveva un ghigno… ho pensato: ‘ora mi uccide’»

Paolo Massari, giornalista Mediaset ed ex assessore all’ambiente del Comune di Milano, è stato arrestato sabato notte – e portato nel carcere di San Vittore – accusato di stupro ai danni di una imprenditrice 56enne. Oggi sarà interrogato.

Dal primo momento si è dichiarato innocente, parlando di rapporto consensuale. Ma la donna sostiene di essere stata picchiata e violentata nell’appartamento di Massari per quaranta minuti, dopo aver preso un aperitivo con lui. A confermare la versione della donna ci sono i referti ospedalieri, che evidenziano ferite in più parti del corpo.

Oggi il Corriere della Sera riporta il racconto della donna. E’ sconvolta da quanti ritengono che si sia inventata tutto. Racconta la paura di morire.

«Dovevo andarmene il più lontano possibile da lui e da quel posto orribile. Non era un appartamento, era un bunker. Ho avuto questa sensazione, quando ci sono entrata: un bunker. Una prigione dove anche se avessi urlato non mi avrebbero sentita. Dove sarei morta ammazzata. Sì, venire uccisa: è stato questo il pensiero che avevo. Ero prigioniera, non scorgevo una minima via di uscita».

Tutto è cominciato alle 20 di sabato. I due avevano appuntamento per un aperitivo.

«Sono imprenditrice e Paolo aveva proposto un articolo di approfondimento sul mio mondo».

Lei ha accettato. Lo conosceva dai tempi del liceo Parini.

«Ho accettato l’invito all’aperitivo e, l’ammetto, è stato un bell’aperitivo. Un momento piacevole. Il mio primo aperitivo dopo tutti questi mesi di isolamento in casa. Non c’è stato niente, in quei momenti al bar, che mi facesse immaginare un finale del genere… Ad ambedue andava di proseguire con una cena al ristorante. Paolo ha detto che siccome il tempo non era buono, era meglio prendere la macchina lasciando lo scooter a casa sua, lì vicino. Ci siamo andati, e una volta nel seminterrato è sceso il buio. Qualcuno pensa che abbia commesso un errore, che in un certo senso me la sia andata a cercare… A me, che una donna debba difendersi come se fosse lei la colpevole, che debba giustificarsi, fa schifo».

Poi gli attimi di terrore.

«Paolo ha avuto una velocissima metamorfosi, ha iniziato a dare ordini e pretendere che li eseguissi, mi ha umiliata, voleva che fossi la sua schiava… Aveva quel ghigno, quel ghigno… Ero da un lato bloccata, paralizzata, e dall’altro ho deciso di gestire la situazione, di cercare di controllarla per quanto potessi, avevo quel pensiero fisso, sempre lo stesso: “Mi ammazza”. All’improvviso, forse appagato, si è fermato e ha acceso una sigaretta. La saracinesca del box, adiacente il seminterrato, aveva un pertugio alla base, non so neanche come sia riuscita a passarci, ma ci sono riuscita, ho percorso un vialetto, sono sbucata in strada… Lui era alle mie spalle, sullo sfondo. Calmo, rilassato. Ripeteva: “Rientra, non far la matta”. Non mi stupirei se ci fossero state altre donne. Che non hanno denunciato».

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