Un occasionale. Sì, lo confesso, sono un occasionale del San Paolo. Sapete com’è, vivo a Londra e non mi è proprio semplicissimo venire ogni domenica.
Però col Frosinone c’ero, non solo, ma mi ero anche preparato per tempo, prenotando l’aereo quando ancora avevamo la possibilità che il Sogno si avverasse. Titubavo per paura di “portare seccia”, ma dopo l’infausta Udine si era capito che a meno di un miracolo sabato scorso si andava solo a dire un grosso “grazie” ai ragazzi per una stagione straordinaria e niente di più. È anche vero, a scanso di equivoci, che l’unica sconfitta che abbia io visto dal vivo al San Paolo, col PSG (allenatore Ranieri, tanto per gradire) è vecchia di quasi un quarto di secolo, ma questo è un altro discorso.
Il motivo principale della visita era però un altro: far vedere finalmente il Napoli dal vivo a mio figlio Matteo, 8 anni, dopo due magliette originali comprate (ambedue col simbolo della Coppa Italia), svariate gesta narrate e qualche video visto insieme. Farlo sentire parte di una famiglia diversa, grande e appassionata, a partire ovviamente dal cantare insieme “Un giorno all’improvviso” e cominciare una storia d’amore che gli durerà una vita intera. Il tutto era addirittura cominciato nel pomeriggio, con la lezione “Il Napoli spiegato a mio Figlio” da parte di un esimio professore del Liceo Sannazzaro, da Jeppson, a Diego, al Pipita. Cinque bimbi all’ascolto, in religioso silenzio.
La sera però, complice la burocrazia barocca del meccanismo di acquisto dei biglietti, ci saremmo dovuti accomodare nei Distinti Bassi, quel primo anello che quando è pieno rende il San Paolo bellissimo ma che il tifoso proprio lo punisce, dandogli un idea vaga, parziale e distorta di quello che succede in campo. Visto poi che riuscimmo ad arrivare “solo” un’ora e mezza prima del calcio d’inizio, le uniche file libere erano quelle davanti, senza la copertura e dunque assolutamente esposte agli elementi, con le previsioni del tempo che non erano neanche particolarmente incoraggianti.
Come è andata lo sapete. Bagnati, fracidi, ma vincenti, nonostante le tensioni del primo tempo, e anche con record.
Ed è proprio lì, al record, che voglio arrivare. Premetto che non sono un “tifoso contro”, uno di quelli rabbiosi, che urla “afammocc” o fa gesti dell’ombrello quando si segna o si vince. Però l’essere tifoso rimane sempre un miscuglio di gioia e sofferenza, perché hai vissuto tante, troppe delusioni, perché spesso ti sei illuso, perché la palla è sempre troppo rotonda. Insomma, pare sempre che non puoi godertela veramente fino in fondo, che il seme del dubbio sia sempre piantato.
Quando la palla è arrivata ad Higuain per il 4-0 invece no. Sarà perché ne aveva già messi dentro due in rapida successione. Sarà perche` la porta era troppo lontana, il tutto era troppo impossibile per dispiacersi se sbagliava. Ma quando quella palla ha gonfiato la rete mi ha preso una sensazione nuova, che non avevo mai provato prima: gioia, felicità, come fossi tornato bambino, pura, pulita. La stessa gioia che vidi subito anche in Mario, l’amico di sempre, seduto affianco e anche lui in estasi. Non ci potevamo abbracciare – lui aveva rinunciato al giubbotto impermeabile che aveva messo per Napoli-Lazio dell’anno scorso, la scaramanzia val bene un reumatismo, era zuppo, io avevo un ombrello in mano e il figlio a carico. Ma quel momento, quello sguardo è stato forse il più bello in 48 anni da tifoso del Napoli. E poi mio figlio che urlava “calcio di bicicletta” (traduzione impropria dall’inglese: il termine rovesciata l’ha imparato solo dopo) col sorriso più largo che c’è. Benvenuto in questa bellissima famiglia, caro Matteo. Sarà con te per tutta la tua vita.
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