“Prima del suo arrivo – scrive il Nyt – la Serie A era come un cortile di scuola”. Adesso è sul mercato, vuole ridurre la burocrazia e ha ridato visibilità internazionale al nostro calcio
Il sintomo del cambiamento potrebbe essere questo: un articolo del New York Times – il più autorevole quotidiano al mondo – che parla della Serie A senza caricaturare le sue zuffe, i suoi presidenti a dir poco coloriti, le piccole meschinerie e polemicucce da cortile. Un pezzo che parla di Paolo Dal Pino un vero manager alla guida della scalcagnata Lega.
L’impronta di sobrietà che viene riproposta dal NYT è forse la vera rivoluzione di questo professionista che è passato per Pirelli, Wind, Telit prima di accettare a gennaio il carico della gestione di un baraccone litigioso e problematico. La notizia è questa rinnovata visibilità internazionale lontana dai cliché dei simil-viperetta. Dopo sei mesi di lavoro, la Serie A si ritrova su un altro pianeta.
Il NYT ovviamente racconta anche le premesse ambientali, i “20 presidenti di 20 squadre, che litigavano tra loro”: “era un cortile di scuola e una camera di dibattito, piena di politica e vulnerabile alla lotta interna”. Racconta le fazioni, e racconta il modo in cui Dal Pino è riuscito a utilizzare la crisi sanitaria per compattare la Lega: “l’assenza delle partite, dice lui, ha sgombrato il tavolo da molte questioni”.
“Senza i battibecchi che sarebbero inevitabilmente scoppiati dopo le partite – le dita puntate sugli arbitri, gli avversari offesi, i rivali disprezzati, tutto spiattellato sui famelici media sportivi italiani – i dirigenti della Serie A hanno potuto finalmente trovare armonia”.
E il pezzo segnala che anche Andrea Agnelli, presidente della Juventus, attribuisce almeno una parte del merito a Dal Pino: la sua “diplomazia”, ha detto, ha contribuito a mantenere i club a bordo.
Dal Pino è arrivato in un momento complicatissimo, col razzismo negli stadi a livelli mai visti, i problemi economici, la burocrazia che impedisce ai club di costruire gli stadi, l’infinita questione dei diritti tv.
“Eppure Dal Pino poteva vedere segni di ripresa. Ha individuato gli arrivi di Lukaku e Cristiano Ronaldo come prova del fatto che i club italiani possano ancora attrarre talenti d’élite e ha sottolineato che, prima che arrivasse la pandemia, il calcio italiano stava battendo i suoi record di presenze, suggerendo che i tifosi avevano ancora fame di partite”.
Poi è arrivata la pandemia. Ma per il NYT “la sua visione non si ferma al ritorno alla normalità, non come prima. Il suo piano, invece, si concentra sul cambiamento: dalla “riduzione della burocrazia”, alla possibilità di vendere una partecipazione nel campionato a una società di private equity – si dice che CVC Capital Partners e Bain Capital abbiano fatto offerte, anche se Dal Pino ha rifiutato di commentare – fino a un cambio di rotta nel modo in cui la Serie A vende i suoi diritti televisivi”.
Il battibecco con beIN, ad esempio, ha comportato l’oscuramento della Serie A in dozzine di paesi, una situazione che ha convinto molti nel calcio italiano che la lega deve avere il controllo finale sui suoi accordi di trasmissione, invece di venderli attraverso terze parti, come è attualmente. Dal Pino è incuriosito da una piattaforma di streaming e ha riconosciuto la necessità di “controllare il nostro destino a lungo termine”. Per la Serie A, ha detto, “l’interruzione digitale” potrebbe essere una buona cosa.
I manager fanno così: sono pagati per gestire le crisi, e costruire i momenti in cui queste crisi saranno superate. Il fatto che la Serie A sia finita sul New York Times con questi presupposti, è sicuramente un segno dei tempi.