Il direttore di Libero: “Rivendico la libertà di definire gli omo come mi pare. Ho affidato mio figlio per un’estate intera a una coppia di miei amici gay”
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Vittorio Feltri ha molti amici gay. Di cui due “carissimi” (“uno di essi purtroppo ci ha lasciati qualche anno fa”) a cui affidò il figlio Mattia “quando era piccino”: “una coppia di omosessuali che se lo portò in vacanza al mare, accudendolo come fosse un nipote”.
Perciò, in coda ad un editoriale in prima pagina nel quale richiama l’aggressione di un ragazzo gay picchiato a Pescara mentre era mano nella mano col partner, odia quando lo fanno passare per omofobo.
Il direttore editoriale di Libero (da pochi giorni non più iscritto all’Ordine dei giornalisti) attacca gli aggressori definendoli prima “indegni di vivere nel consorzio civile”, poi “cretini patentati”, poi definitivamente “coglioni”. Perché, scrive, “ormai – finalmente – la omosessualità non è più reputata scandalosa”. “Ciascuno nella propria vita compie le scelte che gli garbano nelle quali nessuno è abilitato a porre il becco. Io sono etero né per merito né per colpa mia“.
Poi però ci mette a segnare un punto di “libertà”:
“Talvolta qualcuno mi ha redarguito poiché anziché il termine “gay”, inglese, ho usato “ricchione” o “frocio”, accusandomi di omofobia. Il che è folle. Faccio notare che affidai mio figlio Mattia, quando era piccino, a una coppia di omosessuali che se lo portò in vacanza al mare, accudendolo come fosse un nipote. I due erano amici miei carissimi, uno di essi purtroppo ci ha lasciati qualche anno fa, l’altro mi è tuttora vicino. Quindi non sono omofobo, tuttavia rivendico la libertà di definire gli omo come mi pare. Chi invece li discrimina è senz’altro un coglione”.