Tutto si svolge negli schermi, sui telefoni. Tutto potrebbe non aver luogo, o tutto potrebbe avvenire quattro o cinque volte, il calcio aumentato
È il trecentosessantunesimo minuto di questa lunghissima partita senza pubblico. Almeno è così che la vedo. I calciatori cambiano maglia ciò che era stato Verona è diventato Atalanta ciò che è stato Spal diventa Roma, così pare. Una maglia bianca, ma devono essere quelli della Roma, c’è pure scritto in sovraimpressione, è allora è vero. Siamo tornati a quando ero piccolo e mia nonna per dimostrare la veridicità di un fatto, lei che non sapeva né leggere né scrivere, affermava: “L’ha detto la televisione”. Non qualcuno in particolare ma l’apparecchio stesso. Perciò se nel monitor c’è la scritta Napoli – Roma, non dubitiamo che lo sia. Tutto si svolge negli schermi, sui telefoni. Tutto potrebbe non aver luogo, o tutto potrebbe avvenire quattro o cinque volte, il calcio aumentato.
Sabato sera avevo a cena degli amici, due di loro sono juventini (ricordo a tutti: ma brave persone). Vincenzo mi dice: “Mi hanno detto che la Juve ha vinto il derby 4 a 1. Io non sapevo nemmeno che ci fosse la partita, non ci sto dietro sono fermo a quella di tre giorni fa”. Per forza, ho detto, giocano ogni tre minuti, ogni sempre.
L’unico modo di accettare un campionato così è trasferirlo nel mondo dell’immaginario, lasciare che le immagini fluttuino tra il possibile e l’impossibile. Si badi bene, non siamo ingenui da non sapere che stia accadendo, ma possiamo sospendere la realtà e fare finta, come tutti.
In questa finzione possiamo far sì che il pallone rotoli più del necessario, che una squadra debole ne batta una fortissima, vedi Inter – Bologna, che un calciatore spagnolo come in un flipper non segni a porta vuota, ma che poco dopo segni nella maniera in cui ha sempre segnato, una sorta di sentenza chiamata taglio. Possiamo dirci, in questa sospensione, che il tiro a giro destinato a uscire per sempre ha girato un po’ di più, atterrando – per una volta – là dove doveva atterrare, all’incrocio dei pali, uno spazio che non esiste, tra due legni. Il sette, si chiama, uno spazio posizionato appena sotto un numero. Una formula matematica, una composizione magica posta alla fine di una sfera che rotola. Tutto falso, tutto vero, è in sovraimpressione. Impressionante.
In questa frazione di novanta minuti, tra i novanta precedenti e i novanta successivi, il Napoli batte la Roma meritatamente per 2 a 1. I gol sono stati belli tutti e tre, e il Napoli avrebbe potuto segnarne alcuni di più. Non dimentichiamo, finzione o realtà che sia, il nostro solito palo, il nostro legno. In questa frazione di novanta minuti ho fatto un altro dei miei esperimenti. Ne ho guardati 45, senza audio. Provateci, vi accorgerete quasi subito che potrebbe essere qualunque partita, o immagini di repertorio, a un certo punto tutto si confonderà e accadranno varie cose. Vi convincerete che nessuno potrà mai segnare, oppure che ogni gol potrà essere annullato, annullato anche da voi che vi siete trasformati in Var, basta ancora poco e correrete alla playstation. Durante l’intervallo ho fatto la doccia e sono andato a dormire. Il risultato l’ho letto stamattina, vero o falso che fosse. Io ho dormito, qualcuno ha forse giocato, in ogni caso tre punti.
In tutto questo apparentemente finto è successa una cosa vera a San Siro. Un ragazzo gambiano di 18 anni ha segnato un gol all’Inter. Quattro anni fa è arrivato su un barcone, da solo, senza parenti, al porto di Messina, arrivò in un centro di accoglienza in provincia di Potenza, notarono come giocava a calcio. Venne selezionato dalla Virtus Avigliano, con il benestare dell’allenatore Vitantonio Suma. Segnò 29 gol. L’allenatore e sua moglie diventarono i suoi tutori legali. Il ragazzo si chiama Musa Juwara, fu notato dal Chievo Verona. Quando i veronesi retrocessero in B il Bologna lo acquistò per pochi soldi. L’esordio in Coppa Italia a dicembre, il gol a San Siro ieri.
Non capitano spesso belle storie, questa lo è.