Il binomio tra “calcio” e “politica” non hai mai riscosso particolare successo nell’opinione pubblica e tra gli addetti ai lavori, nella convinzione forse che il calcio, ma più in generale lo sport, debba essere collocato unicamente in una dimensione ludica e superficiale. Una testimonianza di segno opposto arriva dalla Germania, precisamente da Sankt Pauli, quartiere di Amburgo. È dall’Hansegeist (spirito anseatico) che prende forma «St. Pauli siamo noi. Pirati, punk e autonomi allo stadio e nelle strade di Amburgo» (DeriveApprodi, 17 €) di Marco Petroni, un testo che è a metà, come scrive nella prefazione Emiliano Viccaro, tra l’inchiesta sociologica e il saggio storico.
Nelle oltre 200 pagine del libro s’intrecciano le trasformazioni della zona portuale ad ovest di Amburgo (con tutti i suoi addentellati urbanistici, sociali e politici) e la storia del FC St. Pauli, un legame che però non ha radici comuni: l’origine proletaria del quartiere è sensibilmente distante della Hamburg – St. Pauli Gymnastic Club (società ginnica fondata nella seconda metà dell’800 nelle zone ricche di St. Pauli) e dalla cui costola il 15 maggio 1910 nacque il FC St. Pauli
Dopo aver raggiunto la storica promozione in Bundesliga, il St. Pauli sul finire degli anni settanta fu ad un passo dal fallimento. Questo tonfo, vero punto di svolta, consentì la trasformazione del St. Pauli in “fenomeno di massa”, è infatti all’inizio degli anni ottanta che si realizza quel processo di osmosi tra il quartiere e la squadra grazie all’esperienza delle case occupate sull’Hafenstraße.
In questo scenario ci sono alcuni elementi che evidenziano tutta la particolarità dell’universo St. Pauli: in primo luogo gli autonomi insieme ai punk, protagonisti delle occupazioni, ostacolarono l’espandersi di profitti ed interessi commerciali nel quartiere in nome di una cultura antagonista basata sulla socialità e condivisione di spazi, il cui scopo principale era apportare un cambiamento radicale in tutta la società. In secondo luogo come spiega Dirk Matzke, un punk di Amburgo, nel libro :«Nei primi anni Ottanta stava nascendo un nuovo circuito, una scena alternativa, fatta di calcio e musica punk. Il concerto era il posto nel quale tutti i punk si ritrovavano. E lì parlavano anche di calcio.» Infine un terzo aspetto spiega le “origini” del fenomeno St. Pauli: l’estrema destra amburghese prese il controllo del « Block E», curva dei tifosi dell’HSV Amburgo, politicizzando, con tutto il suo armamentario, il tifo. Il clima era ormai irrespirabile, così molti punk decisero di abbandonare la squadra più blasonata di Amburgo, puntando su club “minori” come il St. Pauli.
Dopo lo spettro del fallimento e il conseguente calo di spettatori, il Millerntor si ripopolò, questa volta in modo nuovo. Gli autonomi ed i punk si stabilirono sui gradoni della Gegengerade con creste colorate, felpe col cappuccio, sviluppando una nuova concezione di tifo, contrapposta all’hooliganismo, basata sull’ironia, sul sarcasmo, adattando vecchi slogan del movimento operaio come « Mai più fascismo! Mai più guerra! Mai più terza liga!».
La storia del St. Pauli è la dimostrazione che si può avere una coscienza politica e guardare una partita di calcio, due campi non necessariamente immuni da reciproche e positive contaminazioni. Per comprendere appieno quest’esperienza bisogna sottolineare come non sia solo frutto dell’impegno e della passione dei tanti tifosi, ma anche del particolare status giuridico delle società calcistiche tedesche, all’interno delle quali il tifoso può essere attivo e dare il suo contributo. Nella storia di questa tifoseria sono svariati gli esempi che hanno dimostrato come l’esperienza e la prassi politica, maturata in anni di lotte contro il razzismo negli stadi, contro il nucleare passando per le occupazioni degli stabili tese ad impedire speculazioni edilizie, possa tornare utile nel momento in cui ci siano scelte societarie (sponsorizzazioni, campagne di finanziamento o progettazione di un nuovo stadio) apertamente in contrasto con quei valori di coesione, lealtà e solidarietà, apertamente difesi e professati. Il testo di Petroni raccontando con organicità le peculiari vicende dei Freibeuter, apre uno squarcio su una realtà troppo spesso rappresentata unicamente in maniera folkloristica.
Alfonso Noël Angrisani