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Il 21enne della banda dello spray a Torino: «Volevo sentirmi parte di un gruppo, ho perso tutto»

In piazza San Carlo la sera della finale Champions. Condannato a dieci anni. a La Stampa: «I miei genitori non riescono a guardarmi. Dimostrerò che sono cambiato»

Il 21enne della banda dello spray a Torino: «Volevo sentirmi parte di un gruppo, ho perso tutto»

La Stampa intervista Hamza Belghazi, uno dei componenti della banda dello spray che il 3 giugno 2017 scatenò il panico in Piazza San Carlo, a Torino. Sul maxischermo era trasmessa la partita di Champions tra Juve e Real Madrid. Nel fuggi fuggi generale rimasero ferite 1672 persone e due donne morirono per le lesioni riportate.

«Volevo sentirmi parte di un gruppo, così ho commesso l’errore più grande della mia vita. E ho perso non solo la libertà, ma anche il rispetto e l’amore delle persone per me più importanti».

Hamza e i suoi compagni erano nella folla per derubare i tifosi presenti. È stato condannato in appello a 10 anni, 4 mesi e 2 giorni di carcere, come altri tre della banda.

Quella notte rappresenta, per lui,

«Un dispiacere che porterò con me per tutta la vita. Non ho mai pensato, nemmeno lontanamente, a un epilogo così tragico. Quella sera, tra la confusione, ho sentito un botto molto forte e mi sono spaventato anche io. Non credevo fosse stato lo spray a causare quella tragedia. Poi, il 13 aprile 2018, sono stato arrestato».

Racconta che solo quando si è ritrovato in carcere ha capito di aver perso tutto. E dice:

«Siamo tutti molto dispiaciuti per quello che è successo, anche se mi rendo conto che questo non basta. Non penso che la colpa di quella tragedia sia solo nostra, ma di sicuro è anche nostra».

Ma aggiunge anche che con i suoi complici ha rotto tutti i rapporti.

«Con loro, non voglio più aver niente a che fare».

Dopo tre mesi di isolamento giudiziario, Hamza ha incontrato i suoi genitori.

«Non dimenticherò mai il primo colloquio con mamma e papà. Nei loro occhi ho visto la delusione e la sofferenza e avrei voluto morire. Anche durante il breve periodo ai domiciliari, ho visto che mi guardavano con difficoltà. Non potevano accettare quello che ho fatto. Ora stiamo ricostruendo il legame. Il mio unico desiderio è riuscire a renderli orgogliosi di me. Voglio finire gli studi e poi trovare un lavoro per dimostrare a mio padre e mia madre che non sono un ragazzo sbagliato».

Hamza ha 21 anni. Parla del futuro.
«Mi vedo laureato, con una famiglia e un lavoro. Sto cercando di riscattarmi, anche se quello che è successo sicuramente influirà. Un domani, però, vorrei farmi conoscere per come sono. Perché non sono ciò che è stato descritto. O almeno non lo sono più».

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