Ha due profonde rughe ai lati della bocca, un grosso naso che però non rompe la regolarità del viso, sopracciglia folte e simmetriche. Si tira su spesso gli occhiali sul naso, si gratta lievemente il collo quando gli fanno una domanda scomoda, si passa la mano sulla bocca accompagnandola ad asciugarne gli angoli quando l’argomento di discussione è particolarmente scabroso, come il numero di gol presi in partita. Si gratta la fronte quando è pensieroso, trascinato via da chissà quale fantasia, mentre cerca di riacchiappare al volo la domanda che gli è stata posta. Gesticola pochissimo, Maurizio Sarri: in conferenza stampa è serio, compassato, concentrato, al massimo si passa la mano sinistra sulla gamba, sotto il tavolo, quando proprio sente la necessità di muovere un muscolo. Altrimenti resta fermo, per non far trapelare nulla delle sue emozioni. Chissà quanto gli costa non poter muovere le mani, abituate a tenere sempre in mano una sigaretta. Sorride poco, ma ha occhi sereni e puliti, curiosi, intenti a cogliere tutto ciò che lo circonda. Quando sorride, però, lo fa con tutte le pieghe del viso, un sorriso breve ma intenso, pieno, simile a quello di un bambino che si apre al mondo.
Appena arrivato a Napoli ha raccontato che per lui è normale essere accolto con diffidenza dalla piazza: “Mi è capitato ogni volta che sono arrivato in una categoria nuova” raccontò in un’intervista a Massimo Ugolini. Lui, che non è mai stato calciatore, che viene da un passato in banca, ha dovuto inventarsi un modo tutto suo, originale, per conquistare piazze e giocatori. Sarri come Otter (Tim Matheson), che nel film “Animal House” spiega ai compagni che “una guerra combattuta con armi convenzionali richiederebbe anni e costerebbe troppe vite umane” e che, al contrario, occorrerà “che qualcuno faccia un’azione assolutamente stupida e futile” https://www.youtube.com/watch?v=H7mO3JxMoek. Anche Maurizio ha dovuto inventarsi qualcosa di nuovo, futile, stupido, fantasioso e semplice come solo un’idea può essere: un’idea di felicità.
Se arrivi da perfetto sconosciuto ad allenare una squadra di calcio del livello di questo Napoli non ti puoi fare maestro con la matita rossa e blu in mano. Sarri lo ha capito subito. E, per guadagnare credibilità e fiducia con i campionissimi che si è trovato ad allenare per la prima volta nella sua vita, ha scelto la via della libertà, l’atrio che conduce inevitabilmente alla felicità. Non ha imposto un modulo di gioco, ha lasciato che i giocatori scegliessero, prima di prendere atto, insieme, delle correzioni da apportare alle posizioni in campo e al modulo stesso. Quando, in una delle prime conferenze stampa, gli hanno chiesto chiarimenti sulle posizioni di Insigne e Hamsik ha risposto che sono stati loro a decidere in quale ruolo giocare: “Io gliel’ho lasciato fare, poi correggeremo il tiro secondo le loro capacità”. Quando gli hanno chiesto della posizione di Mertens e Callejon a seconda che si utilizzasse il 4312 o il 433, ha sorriso dicendo che la risposta più interessante l’aveva ricevuta da Dries: “Ha detto ‘nel 4312 ti posso fare tutti i tre i ruoli’ e questa risposta mi è piaciuta moltissimo”. Ecco perché all’inizio del campionato sembrava regnasse l’anarchia: in realtà erano solo prove tecniche di libertà e felicità, i nostri stavano prendendo le misure di un’idea piccola e futile eppure bellissima.
L’emblema dell’ideologia sarriana è Higuain. Sarri ha atteso trepidante di conoscerlo, lo ha detto sin da Dimaro. Lo voleva in campo, ma soprattutto pronto, a livello mentale: “Può migliorare, perché ogni volta che l’ho visto inquadrato dalle telecamere mentre giocava ho visto una faccia nervosa. Se in campo facesse qualche sorriso in più potrebbe rendere di più e fare qualcosa di importante – disse del Pipita nella prima conferenza stampa da Dimaro – Penso sia un ragazzo che debba cominciare a divertirsi in campo”. E sul divertimento l’allenatore è tornato spesso, sia quando a Dimaro enunciò le tre caratteristiche che avrebbe voluto per il suo Napoli, “umiltà, abnegazione e divertimento”, appunto, sia più recentemente, quando, prima della partita contro la Juve auspicava una prestazione che facesse entrare la squadra in sintonia con la città, sia dopo la vittoria sui bianconeri, quando si è detto contento che la squadra avesse reso felice i tifosi. Il suo motto sembrerebbe essere: squadra che si diverte, vince.
Ecco perché, forse, i calciatori del Napoli oggi sembrano più felici. Certo, i sorrisi dipendono dalle prestazioni positive, ma non è un caso che, contro il Carpi, abbiamo tenuto così bene il campo, e neppure che, contro la Juventus, dopo il gol subito abbiamo continuato a cercarne di nuovi, col sorriso, perché sorriso genera sorriso. Insomma, quando provi la felicità dietro a un pallone è difficile che tu abbia voglia di tornare indietro: non ti basta più, ne vuoi sempre di più, ancora di più.
È l’arte della felicità secondo Sarri, un’aura di serenità e benessere, di pace, l’unica idea possibile di fronte ad un ambiente schizofrenico, ad una piazza altalenante e ad un giornalismo ondeggiante e provinciale. Per lui che viene dalla provincia e per il quale il Napoli è una grande scommessa sempre desiderata, non poteva esserci terreno di gioco più fertile. È la semplicità dell’allegria, mista all’importanza del lavoro duro. In fondo lo ha detto dal primo momento, e la sua storia nell’Empoli lo dimostra: Sarri è uno che si vede alla distanza, perché la felicità è un’idea che fa fatica ad arrivare sotto pelle, ma quando poi ti penetra dentro, quegli sprazzi che provi ogni tanto li cerchi ancora, altrove, in altri gesti, in altri gol.
Nonostante i triccaballacche e i putipù di popolana memoria, Napoli in fondo è diventata una città triste, opaca, piena di sfumature non sempre colorate, pretenziosa solo nel calcio, dura, ai limiti della violenza, anche se potremmo cercare milioni di spiegazioni a questo atteggiamento nella storia e nella quotidianità cittadina. Non siamo più una città accogliente, accogliamo solo chi è vicino a noi, chi ci assomiglia, altrimenti respingiamo l’invasore perché non vogliamo guardare cosa siamo diventati, perché dovremmo porvi rimedio.
Proprio per questo, la rivoluzione sarriana è una possibilità da cogliere al volo, perché ci spinge a raggiungere la felicità, non a migliorarci per forza, ma a ridere, e, ridendo, a conquistare il mondo. Per noi che ci eravamo innamorati di un’idea di civiltà proveniente dalla Spagna, questa di Sarri, molto più semplice e a portata di mano, sembra comunque un’occasione da non perdere. Le partite si vincono nella testa, come dice Max, ma la testa funziona solo se si è felici. Potremmo semplicemente lasciarci andare all’ondata di libertà portata dal vento sarriano, assecondare il flusso dei nostri calciatori, ai quali Sarri deve aver detto ripetutamente: “Siete voi che andate in campo, divertitevi e tutto il resto del mondo si divertirà con voi”. Sì, è un’idea romantica, è vero, probabilmente troppo filosofica, ma talmente semplice da cogliere al volo. Quest’uomo a cui brillano gli occhi perché può finalmente scartare il suo gioco preferito merita una possibilità di felicità. Sarebbe un delitto non coglierla anche per noi.
Sì, la felicità è fatta di attimi, e verranno altri tempi bui, altre giornate da dimenticare, ma la felicità, una volta provata, non si dimentica, come l’andare in bicicletta, basta solo avere la voglia di ricominciare.
Ilaria Puglia