La Faz celebra lui e l’evento con uno splendido articolo. «Da soli, è più difficile sopportare la sofferenza». Oggi sull’Everest si arriva a pagamento
Il 20 agosto 1980 Reinhold Messner compie una delle imprese più sensazionali della storia dell’alpinismo. Conquista, da solo e senza ossigeno né corde, la vetta dell’Everest. Un’impresa che la Faz celebra con uno splendido articolo in cui vengono ripresi più brani del libro con cui Messner racconta la sua fatica: “Everest solo – Orizzonti di ghiaccio”.
Il quotidiano tedesco ricorda la conferenza stampa che l’alpinista altoatesino tenne all’aeroporto di Monaco-Riem.
“Non sono mai arrivato così vicino al confine, al confine tra questo mondo e l’aldilà, tra me e gli altri”, scrisse in seguito nel libro “The Glass Horizon”. “Mai prima d’ora un tour in montagna ha coinvolto il mio intero essere così insistentemente come questo.”
Fu il primo tentativo in solitaria sul Monte Everest (8.848 metri). Senza compagni, senza aiutanti, senza corda, senza campi preparati, senza bombole di ossigeno. Everest solo, Everest puro.
Scrive la Faz
Quasi nessun altro progetto esemplifica l’alpinismo come Reinhold Messner lo incarna in modo così coerente. Un alpinismo di rinuncia, la riduzione all’essenza, il cuore dell’alpinismo.
Il quotidiano ricorda che nel 1970 la prima spedizione himalayana di Messner, al Nanga Parbat (8125 metri), si concluse con la tragedia della morte del fratello durante la discesa.
Il suo primo tentativo cominciò il 22 luglio 1980. Aveva con sé un ufficiale di scorta, un interprete e la sua compagna dell’epoca Nena Holguin: tutti rimasero nel campo base.
Il secondo tentativo cominciò il 18 agosto.
“La chiave”, dice Messner, “non è la difficoltà, non vale la pena menzionarla per un buon scalatore”. La chiave è la consapevolezza di essere da soli, con le proprie forze, con la propria resistenza mentale, con la propria capacità di soffrire. “Tecnicamente, non è più difficile da soli, ma da soli è più difficile sopportare la sofferenza”. Ed è più pericoloso. Il primo giorno Messner è caduto in un crepaccio ed è atterrato su un piccolo ponte di neve. Non aveva radio, niente. Intrappolato in fondo alla colonna, decise di “smontare, arrendermi, se mai dovessi uscirne sano e salvo. Mai più un ottomila da solo, lo giuro a me stesso “, scrisse in seguito. Poi ha scoperto una rampa nel ghiaccio che usava per uscire. Una volta lì, ha continuato a salire.
“Andare da soli in questa dimensione è soprattutto una questione psicologica”, dice Messner. “Devi sapere come comportarti con te stesso. Non puoi dormire lassù. Azzerare il cervello è un prerequisito, un’arte necessaria per non impazzire”.
Raggiunse la vetta intorno alle 15 del 20 agosto. In cima trovò il treppiede in alluminio che gli alpinisti cinesi lasciarono in cima nel 1975. Nel punto più alto del mondo.
Nel libro Messner parlò di sé come di una persona autistica. «Oggi cambierei un po’ la frase, ma lascerei “persona autistica”. C’è qualcosa di autistico in tutto questo».
Oggi, ricorda la Faz, sull’Everest si arriva pagando. Nella primavera 2019 sono state registrate quasi 900 salite, 200 delle quali dal versante nord.
Messner dice: «È in costruzione una via ferrata, una pista che porterà i turisti paganti. È del tutto legittimo, non voglio criticarlo. Ma ha poco a che fare con l’alpinismo».