Guido Buonocore, 46 anni, nato a Torino da padre di origine casertana e madre sicula, di Sciacca. Relationship manager presso la Key Capital, società che finanzia le start up innovative, ha girato in lungo e in largo la penisola per poi trasferirsi a Roma, tre anni fa: “Con la città non ho mai legato e nemmeno con i suoi abitanti. Con l’anima non mi sono mai trasferito da Sciacca e il corpo senza anima è nulla”, dice, e infatti è a Sciaccia che ha conservato la residenza, e di Sciacca decanta la vita fatta di sole, mare, amore, fantasia e pesce azzurro. Si perde nel racconto della poesia insita in una fetta di tonno o di pesce spada accompagnata da una salsa con pistacchi di Bronte, pomodorini di Pachino e capperi di Pantelleria. E nella visione della squisitezza di un bicchiere di vino bianco di Menfi ed arance di Ribera. Si illumina quando parla delle “Ova Murina”: un dolce inventato per sostituire il cannolo d’estate, quando la ricotta non è troppo indicata per via del caldo.
Sposato con Claudia, psicoterapeuta siciliana, ha dovuto lottare contro la diagnosi della moglie che, all’inizio, definiva il suo tifo azzurro “ossessivo-compulsivo”: “Era convinta che mi avrebbe potuto guarire ma presto si è arresa e adesso tifa Napoli insieme a me”. E in effetti la malattia azzurra regna sovrana: a detta di Guido, il primo vagito di sua figlia Giulia è stato “Forza Napoli”, giura di averlo sentito distintamente e ammette che solo per caso non l’ha registrata all’anagrafe con il secondo nome “Armando Maradona”.
Non ha mai vissuto a Napoli: l’amore per l’azzurro gli è stato inculcato dal nonno paterno, originario di Piedimonte Matese. “Mi fece capire che tifare per una squadra meridionale come il Napoli avrebbe avuto un senso non solo sportivo, ma etico e sociale, sarebbe stato l’unico modo di rafforzare la mia appartenenza”. La sua prima partita al San Paolo ha coinciso con una gita a Napoli: era l’estate del 1984, “ma Lui non giocò, che delusione…”. Le tradizioni napoletane che lo commuovono ancora come un bambino sono due: Totò e Maradona, che definisce “unici, impareggiabili e irraggiungibili”. Più che a Napoli, però Guido ha ricordi legati a Piedimonte Matese dove è nato suo padre, dove hanno vissuto i suoi nonni e dove vivono ancora amici e parenti, “gli stessi che quando da piccolino scappavo da Sciacca, mi venivano a prendere all’aeroporto di Capodichino e mi portavano allo stadio”.
Non gli va di pensare a come finirà il campionato: “Proprio adesso che sto cominciando a divertirmi non voglio pensare alla fine”, dice, ma ha fiducia in Sarri, che definisce “innovativo” e in De Laurentiis, che considera “stravagante e straordinario”.
La partita la vede a casa, in famiglia: è felice, perché partiamo vivaci come i colori della Sicilia. Quando Allan segna, soffoca un urlo in gola, ma sveglia comunque la piccola Giulia, spaventandola. Sempre più ammaliato dal gioco dei nostri, si perde a guardare la moglie del presidente in tribuna: “Mi piace pensare che sia più tifosa del marito”, spiega. E pensa alla trasformazione di Jorginho: “Chissà come sarebbe stato Inler con la cura di Sarri”. Quando Antonelli simula prendendo il giallo, Claudia si lancia a giustificare psicologicamente il meccanismo inconscio che l’ha mosso. Non ha dubbi: “Si chiama paraculaggine”. Sul gol di Insigne perde il controllo. Inizia a dire parole sconclusionate, formate da sole consonanti. E così continuerà fino alla fine, prima di essere pervaso da una sensazione di benessere in tutto il corpo. Non esiste più Torino, Piedimonte, Roma, Sciacca: solo il Sud, e l’appartenenza, in un risultato unico nella storia, da incorniciare.
Ilaria Puglia