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Scuola: chi crede nella responsabilità dei genitori, non è mai stato in una chat di genitori

Dalle mascherine (che non ci sono) alla temperatura: perché il piano per il ritorno in classe rischia di rivelarsi un’organizzazione fantozziana

Scuola: chi crede nella responsabilità dei genitori, non è mai stato in una chat di genitori

Tra dieci giorni la scuola, in Campania, riaprirà. Tra mille difficoltà e problemi, come ogni anno, ma stavolta, per via del Covid, qualcuno in più. E sicuramente tra mille dubbi.

Molti dei genitori campani si chiedono, ad esempio, se chi ha stilato il protocollo per il rientro a scuola abbia dei figli. O se sia mai stato membro di una chat di genitori. Insomma, se abbia mai avuto a che fare con una platea scolastica.

Condivisibile quanto dichiara il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, al CorSera: “Ho troppa stima dei genitori per pensare che portino i figli a scuola con la febbre”. Purtroppo, però, c’è chi, come me – ma siamo tanti – di stima verso i colleghi genitori ne nutre un po’ meno.

Chiunque abbia figli in età scolare – o anche più cresciuti – sa che i genitori, costretti ad impegni lavorativi e non sapendo a chi lasciare i pargoli, non esitano, spesso, a mandare i ragazzi a scuola con linee di febbre, macchie da morbillo, bolle da varicella, tosse, raffreddore e chi più ne ha più ne metta. Ma va bene, immaginiamo che i genitori italiani – e campani – siano diventati, tutto ad un tratto, persone responsabili, capaci di guardare oltre il proprio orticello e salvaguardare il benessere e la salute della collettività. Qualcuno per caso ha idea di come si svolge una mattina di preparazione all’avvio dei ragazzi a scuola? Tra sveglie che non suonano, zaini da preparare, pulmini che partono, campanelle di ingresso a scuola? È davvero verosimile che tutti (TUTTI) ricordino di misurare la temperatura ai figli prima di farli uscire di casa? E, domanda ancora più pregnante, visto che la maggior parte dei nuovi positivi è asintomatica, a cosa serve davvero questa fantomatica misurazione della febbre a casa?

Sarebbe preferibile misurarla a casa, ma, in Campania, che pure lo ha previsto, è una cosa ancora infattibile. Perché i termoscanner ancora non ci sono. Non esiste ancora neppure l’ordinanza di De Luca che obbliga alla misurazione a scuola, al momento, a 10 giorni dalla riapertura. La gara per i termoscanner è ancora aperta.

E fosse solo questo il problema. Mancano anche le mascherine. Quelle promesse da Arcuri e dal ministro Azzolina.

Al momento, le scuole consigliano di fornire i ragazzi di chirurgica, indispensabile per l’ingresso in aula. No alle mascherine di tessuto. E non basta una mascherina a ragazzo. Ne servono almeno due perché, si sa, gli elastici delle chirurgiche spesso cedono e ce ne vuole una di riserva. Premesso che su Amazon sono già introvabili, per quale motivo alle famiglie campane – e italiane in generale – dovrebbe essere fatto obbligo spendere soldi per comprare le mascherine? Comprandole in farmacia, a 0,50 centesimi l’una, significherebbe, per chi ha un figlio soltanto, spendere 5 euro a settimana. Chi ha due figli ne spenderebbe 10, e così via. Qualcosa al limite dell’incostituzionalità, sicuramente della decenza, visto il periodo di miseria e fame nera seguito al lockdown, in cui tante famiglie neppure riescono a provvedere all’acquisto dei libri scolastici.

Questa, naturalmente, è solo la punta dell’iceberg. Non si comprende bene cosa succederà nel caso di un alunno positivo. Va in quarantena la sola classe? Chiude l’istituto? I genitori della classe “incriminata” saranno costretti all’isolamento? E i loro colleghi e amici? Una famiglia in cui ci sono due figli, ad esempio, porterebbe con sé almeno 1000 persone in isolamento, considerando sport pomeridiani e relazioni lavorative (se uno dei due genitori è anche insegnante, poi, la misura si estenderebbe anche alla sua classe?). A decidere, sembra, dovrà essere l’Asl, ma nessuno spiega bene in base a cosa. Ormai la positività è gestita come un raffreddore, senza pensare che mentre il raffreddore può evolvere in febbre o influenza e nulla di più, il Covid può mettere a rischio la salute di genitori cinquantenni, nonni e varie ed eventuali. E sui siti internet degli istituti, nel caos generale, c’è poco o nulla al riguardo. Ma ai genitori viene chiesto di sottoscrivere patti di corresponsabilità scuola-famiglia. Una firma e via, ci si passa una mano sulla coscienza.

Nella maggior parte degli istituti ancora non è stato nemmeno individuato il professore che dovrà rappresentare il referente Covid. Figuriamoci. Del resto, in molte scuole mancano proprio gli insegnanti e laddove non mancano, mancheranno presto. Perché non sono soltanto i ragazzi a non dover andare a scuola in presenza di sintomi riconducibili al Covid (che vanno da uno starnuto ad un colpo di tosse ad uno stropicciamento degli occhi ad un po’ di rinite allergica o mal di stomaco), ma anche i professori. Si finirà dunque, più spesso di quanto si creda, a tenere i ragazzi a scuola in assenza di insegnanti. Così, esposti al contagio nel nome di una didattica inesistente.

C’è poi l’organizzazione scolastica. Chi andrà avanti con ingressi scaglionati, chi con i doppi turni (pregiudicando un’esigenza basilare dei ragazzi, quella dello sport pomeridiano), chi con metà classe dentro e metà fuori. Qualcuno con la didattica a distanza. A guardare i siti degli istituti, è tutto un fiorire di algoritmi. Tipo: il giorno 25 entra la seconda C da Abate a Formisano (nomi di fantasia), il 26 da Formitatto a Ginocchietto ecc ecc. Che neanche se sei un ragioniere abituato a leggere bilanci e a lavorare con i numeri riesci a districarti tra elenchi di ragazzi in ordine alfabetico e formule geometriche per gli ingressi in aula. Per non parlare dei percorsi differenziati. Ogni giorno ne è previsto uno, a seconda della posizione della classe: primo piano, plesso, edificio laterale, e così via.

C’è poi il senso della scuola, che, in queste condizioni, crolla come un edificio scolastico dissestato e impreparato alla quotidianità, figuriamoci al Covid.

Il tempo speso in classe si trascorrerà chiedendo ai ragazzi di non muoversi dai banchi, di indossare la mascherina quando necessario, di non scambiarsi materiale didattico, di disinfettarsi le mani. I compiti in classe saranno sottoposti a quarantena, chiusi in buste sigillate per almeno sette giorni e poi valutati, altrimenti si rischia il contagio. Non esisterà didattica, tanto meno la socializzazione. In pratica la scuola non sarà scuola. Non è che sarà diversa. Non ci sarà e basta.

Siamo davvero sicuri che è questa la modalità di scuola che interessa a docenti, scuola, famiglie e che soprattutto rappresenta il bene dei ragazzi? Non sarebbe stato meglio procedere ancora per un mese o due con la didattica a distanza, più o meno avviata da tutti gli istituti l’anno scorso e poi valutare come procedere, a distanza di un tempo congruo dalle elezioni, magari, visto che la tornata elettorale movimenterà tanta, troppa gente? Magari tenere in presenza, in aule grandi o palestre o cinema, o giardini, solo i primi anni e gli ultimi di ciascun corso? Per non parlare di tutti i disabili, i BES, i DSA, i ragazzi con bisogni speciali, che saranno inevitabilmente trascurati, come lo sono stati finora. Se normalmente un piano didattico differenziato e un’insegnante di sostegno è merce rara, immaginiamo soltanto come potrà essere quest’anno?

Il governatore De Luca non può non aver pensato a tutto questo. Compreso al risvolto elettorale. Chiunque assista alle sue dirette Facebook, sa bene, ad esempio, che il 99% dei commenti degli utenti chiede di rinviare l’apertura delle scuole di qualche altra settimana. Lui stesso, la settimana scorsa, ha tentennato, dicendo che non è certo che le scuole siano pronte a riaprire il 24  Davvero il presidente è disposto a contraddire il desiderio di tanta parte della sua popolazione? Davvero vuole accollare questo problema di nuovo ai genitori, come è già stato per la didattica a distanza? Rimandare di qualche settimana garantirebbe un trionfo più di qualsiasi programma elettorale finora diffuso. Lui lo sa, non può non saperlo.

In Campania avremo 10 giorni per capire come vanno le cose. Per aspettare i primi positivi, anche. Speriamo non ce ne siano, per carità cristiana verso le famiglie meno fortunate di noi, che oggi sono state costrette a lasciare i ragazzi nelle aule, ma anche per rispetto verso i dirigenti scolastici e il personale tutto, impegnati – loro sì – da mesi a fare i salti mortali per garantire il ritorno negli istituti. Più di un docente e di un preside non ci dorme la notte, non siamo solo noi genitori a non riuscire a prendere sonno.

Ricorderemo per sempre la pandemia, il lockdown. Tutti i dettagli di un periodo nero e distruttivo per la comunità mondiale. Ma ricorderemo anche l’incompetenza della Azzolina, la sua presunzione e l’arroganza, i dubbi degli scienziati e la prosopopea di tanti membri del Cts che, come detto all’inizio, probabilmente non hanno né figli né competenza a discutere della materia scolastica. E il fatto che i ragazzi sono andati a scuola unicamente per non far cadere il governo. Perché finora il governo, dei ragazzi e delle loro famiglie, se n’é infischiato come Rossella O’Hara. Ora continua a farlo, per salvare la faccia.

Quelli elencati sono solo alcuni dei problemi con cui si troveranno a far conto le famiglie. Avrei potuto scrivere un altro paio di tomi, al riguardo. Se malauguratamente uno dei propri figli è affetto da allergia, ad esempio – questa la riporto perché è da ridere – il genitore dovrà presentare a scuola un certificato del pediatra che lo attesti ma se il proprio figlio avrà un attacco di allergia in classe, sarà trattato alla stregua di un sospetto Covid e il genitore sarà chiamato ad andarlo a prendere. Non è questa la scuola che vogliamo. Non ora. Sarà solo un caos.

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