È teso, tesissimo. Lo dimostra il fatto che stamattina, al bar, neppure si è fatto vedere. Perché per lui, nato a Palermo e trapiantato a Napoli per amore, quella di stasera non è una sfida come le altre, ma preludio a giorni neri, oppure rosa, come la maglia della squadra del suo cuore.
Lui è Agostino Bellavia, impiegato quarantenne nato nel quartiere Zisa, a Palermo, a ridosso del centro storico della città, quello che, una volta, faceva parte dell’antico parco normanno chiamato “Paradiso in Terra” perché si presentava come un rigoglioso giardino. Luogo di villeggiatura e di caccia dei sovrani, con il tempo il quartiere Zisa si è trasformato in area popolatissima ed è stato inglobato nel cuore della città. È qui che sorge il Castello della Zisa, dall’arabo “Aziza”, “splendida”, un gioiello dell’architettura di età normanna realizzato da un architetto di cultura islamica che conosceva tutti gli espedienti per rendere più confortevole il Palazzo durante i mesi più caldi dell’anno: dall’esposizione a Nord Est alle finestre che favorivano il passare delle correnti d’aria, alle fontane per rendere l’aria più fresca e respirabile. Il castello, oggi completamente restaurato, è meta di centinaia di turisti affascinati dall’armonia degli ambienti ricchi di rari esempi di arte araba normanna e, soprattutto, della suggestione dei “diavoli della Zisa”, un affresco che raffigura personaggi mitologici detti “diavoli” perché è molto difficile contarne l’esatto numero, date le loro ridottissime dimensioni. Da qui il detto popolare “E chi su, li diavoli di la Zisa?” (E chi sono, i diavoli del Palazzo della Zisa?) utilizzato a Palermo quando i conti non tornano.
Nel 2004 Agostino ha lasciato la Zisa per trasferirsi a Napoli. Era napoletana la sua fidanzata dell’epoca, Linda, oggi sua moglie e madre dei loro due figli, Sara e Gabriele. Racconta di non avere avuto un impatto indolore con la nostra città, tutt’altro: “Ho lasciato la mia famiglia, gli amici, i colleghi e soprattutto la mia adorata Palermo, anche se l’ho fatto per amore. E poi non conoscevo Napoli e all’inizio ho dovuto imparare le strade e fissare punti di riferimento per potermi muovere in autonomia”. Ma l’amore è stato più forte e oggi Agostino considera Partenope quasi la sua seconda città: “Vi ho conosciuto molte persone splendide, fatto nuove amicizie, e persino imparato un po’ di dialetto napoletano, che non guasta mai”. Ed è divertente sentirlo mentre parla la nostra lingua con l’inflessione palermitana.
Ci spiega che esistono molte differenze tra le due città: “Palermo è ancora a misura d’uomo, Napoli è invece molto più estesa e caotica”, ma che in termini di abitanti la differenza è minima, perché “lo stile di vita e la filosofia sono uguali. Si affrontano i problemi con leggerezza e con un pizzico di follia. Sia noi che voi abbiamo vissuto più o meno le stesse dominazioni straniere, che ci hanno lasciato in eredità gli stessi vizi e le stesse virtù”. Vale lo stesso per le due tifoserie, molto calde : “Parliamo di calcio 7 giorni su 7, per noi la partita non è un evento che si vive solo la domenica, come nel resto del mondo, ma una costante della settimana”.
Certo, essere tifoso palermitano a Napoli comporta diversi lati negativi, soprattutto oggi: sfottò al lavoro e tra gli amici, disamine tecniche su chi è favorito e chi no, inviti da parte di tutti a vedere la partita a casa propria, “ma la guardo sempre da solo, sempre sullo stesso divano”. Per lui il Palermo rappresenta l’infanzia, la sua città, i luoghi dove è cresciuto, i colori e profumi a cui è affezionato, e che restano nel cuore di chi si reca a Palermo per la prima volta anche solo come turista, né più né meno di un qualsiasi tifoso esule lontano dalla sua città natia.
Ci racconta con trasporto delle tradizioni palermitane, come quella di festeggiare il giorno dei morti: “È una ricorrenza molto sentita, che risale al X secolo. Ho tanti bei ricordi legati a questa festa perché i bambini ricevono regali da parte dei cari defunti e mi ricorda la mia infanzia”. Parla della spiaggia di Mondello con il mare negli occhi, e della pasta con le sarde con la gioia nella voce. Spiega che “bisogna metterci i pinoli, l’uva sultanina e il finocchio selvatico” e che è il massimo gustarla con una buona bottiglia di Insolia.
E poi torna ad adombrarsi, per la tensione. Non è mai stato al San Paolo e stasera sarebbe stata la volta buona, “ma è il compleanno di mia figlia, e mi dedico solo a lei”, spiega. Poi un cenno alla Roma, ben attrezzata per vincere il campionato e a un Napoli che “se gioca così fa sognare”. E poi via, nel clima pre-partita: “Se stasera vinciamo, domani mi dovrò attaccare al telefono per rispondere agli sfottò ricevuti in settimana”. E se perdiamo? “Mi toccherà pagare parecchi caffè”, sorride.
Allora appuntamento al bar domattina, Agostino: o offro io o offri tu e, se pareggiamo si fa alla romana, che tanto noi meridionali veraci ci divertiamo comunque di più. E speriamo che i diavoli di Zisa non ci mettano lo zampino, ma che ci pensi solo San Gennaro.
Ilaria Puglia