Una lezione di vita che arriva da un campetto di calcio della periferia bresciana, una storia che racconta un calcio pulito, fatto di sensibilità, solidarietà, ma soprattutto forza e spirito di squadra.
Luigi ha 11 anni e una brutta forma di alopecia areata che lo porta, in soli dieci giorni, a perdere tutti i capelli. Gioca a calcio, ha una passione sfrenata per questo sport e, una volta diventato calvo, è solo sul campo da calcio che toglie la cuffia che in genere porta per proteggersi e che si mostra in tutta la sua nudità: è solo lì che si sente protetto, al sicuro, come si sente un bambino quando gioca con ciò che lo diverte di più e che ha di più caro, il pallone. E invece, proprio il suo amato campo di calcio lo tradisce.
In una partita di campionato, infatti, gli avversari coetanei iniziano a prenderlo in giro: “Pelato, sei solo un pelato”, gli gridano ridendo. Lo ripetono più volte, finché Luigi non ne può più e crolla psicologicamente, scoppiando in lacrime.
Il suo mister, però, non ci sta. Prima lo incita a rimanere in campo e a continuare a giocare, poi cerca invano di attirare l’attenzione dell’arbitro ma non riesce a fermare chi si diverte a prendersela con chi è più facile da colpire e troppo debole per difendersi. Ma Luigi dà fondo a tutta la sua forza e resta in campo fino alla fine, superando la vergogna, l’impotenza, la sensazione di ingiustizia che lo prende alla gola sentendosi deridere in quel modo, soltanto per il suo aspetto fisico, soltanto per una cattiveria gratuita che viene da suoi coetanei.
Certo, il merito è anche dell’allenatore, che lo ha convinto a continuare a giocare. Ma il grosso lo ha fatto Luigi e il mister sente, per questo, di essere chiamato a fare un passo in più in soccorso del bambino, qualcosa che possa renderlo più forte, farlo sentire meno solo. E così, il tecnico si rasa tutti i capelli a zero: «Così, quando grideranno “pelato”, sarò io il primo a ribellarmi», scrive in un sms che invia alla madre del bambino. Luigi e il suo mister si presentano insieme al campo di allenamento, il giovedì successivo. Indossano entrambi una cuffia sopra la testa. Radunano la squadra e, nello stesso momento, se la tolgono dal capo lasciando luccicare le teste pelate. Urlano insieme il loro nuovo grido di battaglia: “Anche pelati siamo più forti!”.
La storia di Luigi, che è un nome di fantasia, è riportata sull’edizione odierna del Giornale di Brescia. Non è indicato il nome del mister, che ha scelto di rimanere nell’anonimato, ma non si può non sorridere di fronte al pensiero di quest’uomo tutto d’un pezzo, che prima incita uno dei suoi ragazzi a non cedere alle provocazioni rimanendo in campo a testa alta e poi, per ringraziarlo della sofferenza costatagli nel farlo si rende uguale a lui rasandosi a zero.
È così che ci piace pensare debba essere un allenatore. Non solo tecnico, ma compagno di vita, qualcuno al quale essere riconoscente di aver diviso un pezzo di strada con i nostri figli.
Ilaria Puglia