L’incontro di due mondi differenti, la benestante Chiaia e i disagiati Quartieri Spagnoli, attraverso le anime dei loro abitanti più puri, i bambini. E, tutto, attraverso la dirompente forza delle parole, quelle di una scrittrice. È ciò che è avvenuto questa mattina presso la Fondazione Foqus, nel pieno dei Quartieri Spagnoli, in via Portacarrese a Montecalvario, dove Bianca Pitzorno, vincitrice della 61esima edizione del Premio Napoli, ha incontrato trecento bambini di due scuole elementari, “Dalla parte dei Bambini” e “De Amicis” per spiegare loro come si trasforma un libro in cartone animato.
L’incontro fa parte di una serie di appuntamenti organizzati dalla Fondazione Premio Napoli con alcuni autori di narrativa per l’infanzia per un approccio più puntuale e dinamico dei bambini alla lettura.
«La Fondazione Premio Napoli ci ha coinvolti in questa bellissima iniziativa – racconta Rachele Furfaro, preside della scuola elementare “Dalla parte dei bambini” e noi, a nostra volta, abbiamo deciso di tirare dentro la scuola “De Amicis” di Chiaia, per mostrare ai nostri alunni una realtà completamente diversa dalla loro. Questo perché riteniamo che educare all’integrazione e alla convivenza debba essere il compito primario che deve porsi la scuola nel suo percorso formativo».
La scuola della Furfaro ai Quartieri Spagnoli comprende anche un asilo nido: «È la prima esperienza di nido attuata nei Quartieri Spagnoli – spiega – Prima di noi non c’era una scuola dell’infanzia. Quando sono arrivata qui ho pensato che per questi bambini non ci fosse speranza perché il loro destino è già tracciato nelle storie familiari di ciascuno di loro e invece ho scoperto che qualcosa si può fare». Molto positiva la risposta dei genitori del quartiere: «Abbiamo a che fare con genitori giovanissimi, anche quindicenni – ha raccontato la Furfaro – che, attraverso i loro figli, diventano importanti pezzi del processo educativo. In tanti, qui, aspettavano solo di essere accolti per accogliere a loro volta noi, l’altro, il diverso da loro». È questa, secondo la direttrice dell’istituto, la vera scommessa della scuola «Essere una scuola di inclusione. La città deve diventare, per questi bambini, davvero una città, non soltanto un centro attorno a cui si sviluppano delle periferie dimenticate, nelle quali c’è tanta solitudine da colmare. Abbiamo l’obbligo di tornare alle origini, di disfare quanto già fatto, di riappropriarci dell’essenza e di valori importanti come la convivenza, il rispetto dell’altro come rispetto di sé, proprio in un momento in cui si parla tanto di nuovi strumenti educativi. I Quartieri Spagnoli accolgono il 10% di tutti i minori napoletani e il 19% di essi sono extracomunitari. È importante lavorare per l’inclusione, soprattutto in quartieri disagiati come questo».
Entusiasta la risposta della De Amicis: «La scuola deve aprirsi al territorio ed entrare in relazione anche con realtà diverse da quella di appartenenza – ha spiegato la preside, Adelia Pelosi – È stata un’esperienza costruttiva e ricca, che non solo ha messo in relazione due parti molto differenti della città, ma ha anche visto la collaborazione di una scuola paritaria ed una statale, una rara occasione di incontro tra due diverse forme di istituzione scolastica». I ragazzi della De Amicis sono usciti per un giorno dal loro contesto di appartenenza per andare alla scoperta dei Quartieri Spagnoli e «per svestire questo luogo della accezione negativa che si porta dietro, perché anche questo è un compito che deve avere la scuola: scoprire le diversità», ha chiarito la Pelosi.
Lo spunto per l’incontro tra due mondi così diversi per il bene dei bambini è stato la lettura del volume della Pitzorno, “Clorofilla dal cielo blu” che i bambini sono stati invitati a leggere e a rielaborare attraverso disegni, nuovi racconti e lavori di gruppo che hanno coinvolto più discipline e richiesto un contatto diretto nella progettazione da parte delle due scuole. Su proposta della Fondazione Premio Napoli, i bambini sono stati accompagnati nella lettura del testo e nella sua rivisitazione in chiave originale che ha portato ad una ricollocazione della storia originale nei paesaggi interiori di ciascuno degli alunni. C’è chi ha raccontato la narrazione attraverso le immagini, chi, a partire da alcuni personaggi chiave ha provato ad imbastire altre storie immaginarie, chi ha riscritto il libro ambientandolo a Napoli. Un lavoro che ha coinvolto tante competenze trasversali, dal lavoro di gruppo all’inclusione di bambini problematici, dall’ascolto collettivo alla socializzazione delle esperienze e che ha visto cooperare insegnanti di diverse discipline, dall’italiano alle scienze alla geografia alla storia.
Un progetto lungo poco più di due mesi che oggi ha avuto il suo coronamento con l’incontro con l’autrice del libro. «Ho imparato a raccontare storie quando ero molto piccola – ha rivelato la Pitzorno ai bambini seduti a terra ad ascoltarla – perché soffrivo di mal d’auto e mal di mare e l’unico momento in cui riuscivo a distrarmi e a non vomitare era quando ero impegnata ad usare le parole ed il cervello. Quando eravamo in vacanza in barca, raccontavo di continuo le mie storie, proprio per non stare male, e la gente attorno mi invidiava. Finiva che i miei genitori mi passavano di barca in barca per allietare le giornate di chi era ormeggiato accanto a noi. Quando sono arrivata a scuola, a 6 anni, mi aspettavo che mi insegnassero a leggere e scrivere libri, tanto ero già addentro al mondo del racconto, non ero preparata a imparare a scrivere le prime lettere dell’alfabeto, come si fa in genere, e allora decisi di ritirarmi. Ma poiché avevo già frequentato abbastanza la scuola, sono stata bocciata e ho dovuto ripetere la prima elementare. Ho cominciato a scrivere i miei primi romanzi a 8 anni, sulle agende che mio padre medico riceveva in regalo dalle case farmaceutiche. 365 pagine in cui annotavo pensieri sparsi contro la mia maestra delle elementari che non voleva in classe i bambini poveri. Ho cominciato a scrivere per il profondo senso di giustizia che avevo dentro. Da allora, i miei libri si sono sempre attestati sulle 365 pagine di quelle prime agende». La Pitzorno ha dato consigli di scrittura in modo semplice, tornando bambina tra i bambini, anche se con i capelli imbiancati dall’età ed ascoltando le domande dei piccoli, perdendosi nelle creazioni fantasiose che il suo libro ha suscitato in essi.
«Una giornata entusiasmante – ha commentato la preside della scuola De Amicis alla fine dell’incontro – E la cosa più straordinaria è stata che i tempi di attenzione dei bambini si sono rivelati lunghi nonostante non ci sia stato uso di immagini ma solo la forza della parola. È stato bello scoprire nella Pitzorno una persona giovane, sorridente al mondo, curiosa: è un bel modello da presentare ai bambini. È stato costruttivo far incontrare due mondi diversi che convivono nella stessa città. E poi è stato commovente quello che la scrittrice ha detto loro: le scelte fatte da piccoli influenzano spesso i futuri percorsi di vita. Trovo che sia un messaggio altamente simbolico soprattutto in una realtà come questa».
Ilaria Puglia