Meno possesso palla, più lanci lunghi (67, lo scorso anno erano in media 43). Mertens regista offensivo ha contribuito a mandare in tilt l’Atalanta
Meriti e demeriti
Questa volta iniziamo dalla fine, dal dibattito che ha caratterizzato il postpartita di Napoli-Atalanta 4-1. Ovvero, la discussione sui reali meriti del Napoli e su quanto, di contro, siano stati consistenti – e determinanti – i demeriti della squadra di Gasperini. Ovviamente è una discussione sterile, nel senso che non può esserci una risposta esauriente e/o oggettiva a questi dubbi. Negli articoli di questo spazio, d’altronde, proviamo a razionalizzare il gioco del calcio partendo dalla lettura dei dati e dall’evidenza delle situazioni tattiche: aspetti che non possono chiarire la questione, ma possono essere utile a farsi un’opinione. Ecco, alla luce di quanto abbiamo visto, si può affermare che l’Atalanta ha giocato una partita molto al di sotto delle sue possibilità. Dal punto di vista tecnico e atletico. Allo stesso modo, però, il Napoli ha disputato una partita eccellente, coerente con le richieste del contesto. Il contesto dell’Atalanta, ma anche quello del Napoli.
Quest’ultima frase è fondamentale. È l’inizio di tutto. Bisogna partire da qui, dal fatto che il piano-partita di Gattuso si sia rivelato perfetto in due direzioni: verso l’interno e verso l’esterno. Cioè, ha esaltato le qualità dei giocatori del Napoli e ha disinnescato il sistema dell’Atalanta. Un’Atalanta che, quindi, oltre ad aver offerto una prestazione inferiore ai suoi standard degli ultimi anni, ha smarrito anche alcune certezze tattiche. E ha perso la partita, in maniera netta.
Questo è il Napoli
Gattuso ha imboccato una strada chiara, definita: il 4-4-2 in fase difensiva che diventa 4-2-3-1 in fase offensiva. Stavolta siamo netti nell’individuazione del modulo di gioco, anche in fase offensiva, perché Dries Mertens ha operato per tutta la partita come trequartista-regista offensivo, come seconda punta atipica che organizza il gioco e crea superiorità numerica negli spazi alle spalle di Osimhen. Ma di questo parleremo dopo, in maniera più approfondita. Tornando al piano-partita del Napoli, le scelte significative di Gattuso sono state, nell’ordine: la conferma di Hysaj nello slot di terzino sinistro; l’inserimento di Bakayoko nel doble pivote accanto a Fabián Ruiz; lo spostamento di Lozano a sinistra e l’inserimento di Politano a destra. In realtà quest’ultima era una decisione obbligata, dato che Insigne ed Elmas – i due “titolari” nello slot di laterale sinistro d’attacco – erano e sono entrambi indisponibili.
Con queste decisioni, Gattuso ha confermato il un nuovo progetto tattico avviato dal Napoli. Un progetto basato su un concetto fondamentale: la rapidità in fase d’attacco. La squadra azzurra ha cercato infatti di velocizzare il più possibile il gioco, riducendo il numero di giocate e tocchi di palla che occorrono per arrivare nella metà campo avversaria. L’azione può essere il frutto di una lunga ed elaborata serie di passaggi ravvicinati, ma può evolversi anche in maniera diretta, immediata. Su una traccia verticale. Anzi, proprio la soluzione verticale è quella utilizzata più spesso. Sotto, c’è un’immagine che mostra chiaramente questa dinamica.
Fabián Ruiz si abbassa per ricevere il pallone direttamente da un difensore, in questo caso Di Lorenzo. Avanza di qualche metro, e prima di essere braccato dal pressing di un avversario, cerca Osimhen che attacca la profondità.
Ecco, in questa azione – dopo pochi minuti di gioco – c’è tutto il nuovo Napoli di Gattuso. Che non rinuncia alla prima costruzione partendo dai difensori, ma poi aziona velocemente i suoi attaccanti cercandoli in verticale. Le statistiche confermano tutte queste sensazioni: Fabián Ruiz è il secondo giocatore del Napoli per numero di palloni giocati (76), primo regista della squadra; al primo posto di questa particolare graduatoria c’è Elseid Hysaj (79). Rispetto ai dati degli anni scorsi, per cui alcuni giocatori azzurri (i difensori centrali, i terzini, il centromediano del 4-3-3) raggiungevano e spesso superavano abbondantemente i 100-120 palloni giocati per match, è evidente come la frequenza del possesso palla si sia abbassata. Inevitabile anche il calo del dato riferito al possesso palla puro (50%-50% a fine partita).
Partendo da qui, si spiegano anche le scelte di formazione: se il Napoli vuole giocare e in effetti gioca un calcio più diretto, più verticale, il terzino sinistro può essere Hysaj, perché non c’è bisogno di un laterale difensivo che abbia grande qualità nella gestione del pallone; lo stesso discorso vale per l’uomo accanto a Fabián Ruiz, che può essere un giocatore pulito ed essenziale tecnicamente come Bakayoko – il francese ha agito come vero e proprio schermo, come perno fisso davanti alla difesa; in questo modo, Fabián Ruiz ha avuto la libertà per associarsi con i compagni, per ricevere il pallone sui piedi, in tante zone di campo, come si vede anche nelle immagini in alto. È stato proprio questo nuovo modo di attaccare a mettere in grande difficoltà l’Atalanta. Si è visto chiaramente in occasione del primo e del terzo gol realizzati dal Napoli.
In entrambe le azioni, il Napoli costruisce dal basso e poi verticalizza subito.
La grande forza dell’Atalanta – che discende dalle caratteristiche fisiche dei giocatori in rosa e dall’approccio tattico di Gasperini – è la sua capacità di accorciare il campo d’attacco degli avversari. Questo avviene grazie a marcature uomo su uomo che vengono esasperate all’estremo, che si determinano a tutto campo, come se le partite si dovessero vincere accumulando punti in infiniti duelli individuali. Si tratta di un sistema potenzialmente letale per una squadra come il “vecchio” Napoli, che tende(va) a chiudersi volontariamente in un campo piccolo, a ridurre le distanze tra i giocatori di tutti i reparti, così da poter rendere insistito il possesso palla.
Ieri, al San Paolo, è andata in scena una partita molto diversa. Al netto della pessima condizione fisica degli uomini di Gasperini, il Napoli ha evitato che si manifestassero proprio le condizioni che abbiamo appena descritto. Fin dall’inizio della gara, infatti, la squadra di Gattuso ha aggredito senza paura gli avversari in pressing; è rinculata nel suo (ormai consolidato) 4-4-2 difensivo se la prima aggressione veniva saltata; infine, ha risalito velocemente il campo per pungere in avanti non appena recuperava il pallone. Non a caso, gli azzurri hanno chiuso la gara con 67 passaggi lunghi tentati (contro i 38 dell’Atalanta), una cifra nettamente superiore alla media tenuta nello scorso anno (43); Osimhen, fulcro del gioco e prima opzione per tutti i tipi di appoggi in avanti, ha giocato 41 volte il pallone, servito 2 passaggi chiave e vinto 2 duelli aerei.
Grazie alla presenza di Osimhen e al nuovo stile d’attacco del Napoli, anche Ospina può “divertirsi” molto di più coi lanci lunghi. In questa azione, il Napoli è letteralmente spezzato in due tronconi, con sei giocatori nel primo terzo di campo e gli altri quattro in attacco; il lancio del portiere trova Osimhen perché Romero sbaglia l’anticipo, a quel punto il nigeriano può puntare la porta, accanto a lui ci sono due compagni, contro due difensori avversari.
Nei video in alto e nei frame appena sopra, vediamo come il Napoli verticale di Gattuso abbia mandato completamente in tilt il sistema difensivo dell’Atalanta. Con un’idea semplice, ma ben realizzata: attrarre il pressing e le marcature a uomo degli avversari, per poi colpirli negli spazi che si creavano alle loro spalle. Grazie a questo “allungamento” del campo, e disponendo di quattro calciatori in attacco, si sono determinate spesso situazioni di parità – se non superiorità – numerica in fase offensiva che hanno portato a numerose occasioni limpide. Non a caso, il computo totale dei tiri in porta dice 11-4 per la squadra di Gattuso. Ecco, questi sono i dati che hanno indotto il tecnico calabrese – ma anche Gasperini – a parlare risultato giusto, se non addirittura troppo stretto, nelle interviste del postgara.
Mertens
Come anticipato, ora una piccola digressione sulla partita di Dries Mertens. Che, come detto, non ha giocato (solo) come punta pura, ma (anche, soprattutto) come uomo di riferimento per l’organizzazione del gioco d’attacco. Il belga si è mosso in tutte le zone del fronte offensivo, per ricevere il pallone e smistarlo, con velocità e qualità. Prima l’abbiamo visto coinvolto nella costruzione delle azioni che hanno portato ai gol di Lozano e Politano; sotto vediamo altri due frame e la heatmap della sua partita.
Mertens è l’uomo-ovunque: nel primo frame è nel cerchio di centrocampo, nel secondo è in posizione di estero sinistro. La sua heatmap conferma questa sensazione.
Mertens ha accumulato 52 palloni giocati (stesso numero di Bakayoko), 2 passaggi chiave serviti e 6 cross tentati. Sono numeri eloquenti, che permettono di identificarlo chiaramente come il regista offensivo del Napoli. Il suo adattamento a queste nuove attribuzioni va di pari passo con quello del Napoli al nuovo sistema di gioco: anche quando veniva schierato come prima punta, Mertens non ha mai limitato la sua tendenza a venire a giocare il pallone dietro, ad accorciare la squadra. Ora deve farlo mentre altri giocatori – Osimhen su tutti, ma anche Lozano – tendono ad allungarla; in questo modo, si apre anche lo spazio davanti a Mertens, perché i difensori avversari sono costretti a scappare all’indietro.
Così il talento di Dries si esprime in maniera diversa, sempre in verticale, puntando la porta, dopo il primo movimento a fisarmonica. Ma Mertens ha la tecnica e la sensibilità tattica necessarie per poter interpretare bene questo ruolo, l’unico possibile perché le sue caratteristiche possano sposarsi con il nuovo sistema tattico del Napoli. E con Osimhen. Gattuso l’ha capito, ora Mertens ha compiti diversi, più di cucitura che di finalizzazione – anche se gli attacchi alla profondità di Osimhen l’hanno portato a concludere spesso verso la porta avversaria, contro Parma e Genoa.
Oltre alla necessità di utilizzare Mertens in maniera diversa, Gattuso ha colto perfettamente tutti gli altri segnali che gli sono stati inviati – dal mercato, dalla composizione della nuova rosa. Il Napoli che abbiamo visto nel secondo tempo contro il Parma e poi contro Genoa e Atalanta è una squadra che (finalmente) è andata oltre sé stessa. Che ha studiato e poi ha trovato in sé un’alternativa all’idea del possesso palla prolungato come arma principale in fase offensiva.
Conclusioni
È chiaro come le (grandi) doti e i movimenti preferiti di certi giocatori abbiano spinto Gattuso a esplorare queste strade alternative. Strade che non cancellano la tecnica individuale, piuttosto la fanno esprimere in maniera diversa, e diversificata, rispetto al passato. È evidente che il tecnico creda in questo nuovo progetto. Un segnale chiaro, in questo senso, è arrivato nella ripresa, dopo i cambi: Gattuso non ha modificato l’assetto del Napoli in fase difensiva, ha mantenuto il 4-4-2 fino alla fine ed è riuscito a gestire il tempo e la palla senza soffrire.
Del resto il Napoli verticale esalta Osimhen e Lozano; non penalizza Mertens e Fabián Ruiz; permette alla difesa di aggredire in alto, come piace far a Koulibaly e Manolas; infine, copre l’unica falla dell’organico, ovvero la mancanza di un terzino sinistro in grado di spingere molto e di gestire bene il possesso palla (a meno che Ghoulam non torni a essere davvero abile e arruolabile), perché la nuova fase offensiva non chiede grande sensibilità tecnica a tutti gli uomini in campo, come avveniva in precedenza. Il tassello mancante è l’inserimento di Insigne in questo meccanismo, ma dovrebbe essere solo questione di tempo.
La strada è quella giusta. Perché pochissime squadre batteranno l’Atalanta come ha fatto il Napoli, dominando dal punto di vista tecnico e tattico. E poi perché questo Napoli 2.0, nel caso, potrebbe anche tornare indietro. Cioè potrebbe scegliere di giocare in maniera più accorta, più compatta, col 4-3-3/4-5-1, difendendosi e gestendo il pallone come in alcune (buone) partite dello scorso anno. In fondo solo chi riesce ad andare avanti, chi continua a evolversi, può decidere di tornare indietro, di scegliere in base alle esigenze, da un grande bagaglio di conoscenze e strumenti. Solo chi riesce ad andare avanti, alla lunga, può restare davvero imprevedibile.