Oggi il cronista è a lutto stretto e, non godendo della capacità di autocontrollo di Maurizio Sarri, reagisce prendendosela con i luoghi comuni di strada ma anche d’autore che, soprattutto quando vengono utilizzati ad arte – e in giro per il Belpaese conosciamo nomi cognomi e indirizzi di autentici specialisti di questa sottospecie di cultura calcistica – portano all’esasperazione.
Partiamo dal primo che suona pressappoco così: «Dottò, secondo voi Higuain è pù forte di Careca e di Cavani»? Tu rispondi barcamenandoti dietro l’affermazione più scontata (sono paragoni improponibili come quello tra Maradona e Pelè o tra Coppi e Merckx), ma l’interrogante, che solo in apparenza dà l’impressione di essere indeciso, ha le sue certezze e controbatte: «No, dotto’, per me Gonzalo è più grande». A questo punto la rabbia esplode perché le riserve di pazienza sono esaurite: ma se hai una convinzione tanto radicata perché me lo chiedi? Ogni giorno, ogni ora, su tutti i quotidiani e su tutti i programmi radiofonici e televisivi?
A seguire, o a precedere perché mai come in questo caso cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia, c’è il secondo rovello: il Napoli può vincere lo scudetto? I frequentatori del Napolista sanno bene che questi tormentoni sono patrimonio di una platea non abituata ad autodeterminarsi e perennemente in balia dei venti stanziali nel Golfo più dello scirocco temutissimo dai pescatori (scirocco aguglia nun tocca) e sanno anche che, dopo uno stillicidio di mesi, si fa fatica a rispondere senza lasciarsi prendere la mano dalla voglia di mandare a quel paese chi pone simili interrogativi perfino in territori del giornale deputati a riflessioni più serie e profonde, ma non ha più tolleranza e, quindi, come prima, sceglie di rispondere. Con il rischio di scendere al livello di chi lo tormenta, ma, come disse quel tale, l’ora è grave.
Il terzo assillo è atipico rispetto agli altri perché non pone un interrogativo, ma esprime, al contrario, una certezza: Benitez deve cambiare mestiere. E la risposta che segue ad una domanda retorica, è scontata: sì. Roba da chiodi, pensando che il livore discende da alcune risposte sacrosante con le quali il tecnico spagnolo mise a tacere alcuni interlocutori sprovveduti. Parlando di calcio, non di calci.
Il quarto martello, e poi la smettiamo, è fresco di giornata e, forse, è anche il più subdolo: perché i giocatori azzurri dopo la vittoria risicatissima (ingiusta vorrebbero aggiungere) con l’Inter hanno fatto il giro del campo? È lì che hanno perso la testa, pensavano di aver vinto lo scudetto e, invece, le hanno prese di santa ragione dal Bologna. Se riflettiamo un attimo, la perfidia dell’assunto balza agli occhi: non ce la fate a restare lasssù, avete provato l’ebbrezza ma ora rientrate nei ranghi. L’ultimo a porsi il quesito è stato l’ottimo Mondonico, ma era stato preceduto dagli abituali frequentatori del salotto di Sky. Non se ne può più. La misura è colma e sotto questo profilo la sconfitta di Bologna può essere terapeutica perché riporta tutti con i piedi a terra. E costringe a interrogarsi sugli errori commessi, sulla necessità di evitarli e sull’esigenza non più differibile di completare la rosa. Seguendo scrupolosamente le i indicazioni che sicuramente Sarri avrà trasmesso al presidente e al direttore sportivo.
In chiusura rispondiamo al nostro carissimo Guido Trombetti: non so se è meglio essere inseguiti o inseguire. Dipende dalla forza che si ha nelle gambe, ma anche dalla serenità che, come ognuno sa, è la virtù dei forti. Per il resto tocca chiedere a Dorando Petri (o Pietri, il dilemma non sarà mai sciolto) che crollò sul traguardo della maratona di Londra. Lui, poverino, era forte di garretti e di testa, ma ugualmente non riuscì a portare a termine la sua fatica. L’imprevisto, insomma, è sempre dietro l’angolo. Con o senza giro di campo. E con buona pace dei venditori di fumo calcistico.
Carlo Franco