Terza domenica d’avvento. Oltre che per le religioni, sono anni giubilari anche per il calcio quelli come l’attuale in cui non si vendono indulgenze ma, più prosaicamente, si svende la paura. Non solo in Italia, dove si aprono le porte sante e la detentrice del titolo viene costretta a cambiare, barcollare, tracollare e ripartire nel giro di una ventina di partite, ma in Europa, in cui il Dio dell’Autostima Incrollabile – al secolo José Mourinho – cammina sull’orlo del precipizio mentre i suoi sacerdoti si raccolgono in orazione aspettando che cada. Poiché se a cadere è lo Speciale, e magari si scopre che pure lui è nato in una mangiatoia, allora la breccia nella diga degli incrollabili sicuri di sé diventa voragine e si può dare inizio alla rivoluzione teologico-podistica annunciata dagli angeli.
In questi mesi giubilari Maurizio Sarri ha lavorato molto, anche sulle sue, di paure, in un processo largo che ha disinfettato molte delle inevitabili ferite di una squadra reduce dagli eccessi vertiginosi che servono a formarsi. D’altra parte del racconto del figliol prodigo tutti si affrettano ad indicare la dissolutezza del figlio che parte, ma pochissimi si soffermano a notare che il figlio rimasto a casa al servizio del babbo si è giocato subito il facile settebello della fedeltà al papino ma, col tempo, s’è ritrovato rimbambito a tal punto che gli altri banchettano mentre lui si sente preso per (o forse autenticamente è) fesso. E la nostra non è una squadra di fessi che per tranquillità si giocano i settebelli alla prima mano. Deo gratias.
Ma Sarri, dicevamo. Da uomo che le scritture calcistiche le ha praticate, è giunto a Napoli con buona volontà, idee e, da uomo intelligente, con la giusta dose di paura di poter bruciare l’opportunità guadagnatasi con merito. All’inizio ha provato a credere alla storia dei campi polverosi di provincia che salvano i prodighi figlioli, ma onestamente non si sono visti vitelli grassi. Non basta un abbozzo di trequartista per scrivere un romanzo. La storia insegna che, alla fine, per rendere ricca la trama della provincia devi essere un sofisticato signore della metropoli – ebbene sì, con buona pace degli ossessionati dal radical chic, per trasformare in letteratura la polvere muta dell’entroterra americano puoi anche essere nato a New Albany con papà capostazione ma devi possedere l’animo di uno scafato di Hollywood che si chiami Faulkner. Così dice la parabola.
Sarri ha mostrato sale fino in zucca e forte tenacia nel non lasciare nulla di intentato. Fa giocare la difesa altissima sul campo e oltre agli avversari ha lasciato in fuorigioco anche le sue paure disegnando un modulo ed un sistema di gioco che, tutto considerato, non erano nei suoi desideri originari, dando vita ad una serie di prestazioni che per intensità, qualità e continuità probabilmente non ha eguali nella storia di questo club. È l’incipit di un ottimo romanzo, scritto e giocato sul pieno slancio di questa coraggiosa spregiudicatezza iniziale. Ma il calcio, oltre a essere bugia, è anche teologia, ossia un essere strano che cambia forma a seconda delle epoche. Allora vai a leggere i testi sacri e ti accorgi che nella migliore delle ipotesi gli azzurri quest’anno chiuderanno il girone di andata con qualche punto in meno della stagione di due anni fa, quella della Champions persa a 12 punti e la Juve record – certo, gli anni sono diversi, i pastori in campo pure, ma ci sono trame interessanti. Forse perché per affrontare i propri timori e rimestare le proprie idee, evitando di far saltare il banco, Sarri ha dovuto contare almeno sulla tranquillità dei propri giocatori, che sono stati ascoltati e posti nelle condizioni di fare al meglio ciò che meglio si sentivano di fare. Capita così che segni quasi solo quello che sa segnare meglio di tutti. E che la vittoria giunga solo se tutti giocano al massimo. Ogni cosa ha un costo.
Oggi gli undici fissi di Sarri iniziano ad assomigliare meno a prodighi scialacquatori e più a saggi attempati. Non è un male. Ma è un rischio. La spregiudicatezza iniziale comincia a mostrare qualche ruga di timore. È un attimo e la tua rivoluzione diventa accademia. L’alchimia giusta è delicata questione di equilibrio stechiometrico tra paura e tranquillità, due sostanze che possono formare balsamo o veleno. La tranquillità della provincia la può raccontare solo un irrequieto uomo di città. E un anno come questo, che sembra camminare a testa in giù senza che nessuno gridi allo scandalo, pare un tempo buono per provare, per sperimentare, per sbagliare e riprovare; un anno che si annuncia senza Paura non è poco. Sono caduti molti sacri simboli, ed altri forse ne cadranno; Mou sembra un piccolo micino impaurito ad ogni intervista. Non deve avere certo paura Sarri, di provare e sbagliare. Non adesso, almeno. Cambiamo, cambiamo ancora, Mister. E vediamo che succede.
Raniero Virgilio