Questa città stracciona Diego se l’era cucita addosso e aveva deciso di rappresentarla e di difenderla. Ovunque ci fosse povertà, lui era di casa
Se n’è andato davvero. E c’è bisogno di aggiungerlo, davvero. Perché in questi anni ci era andato vicino tante volte, ma l’aveva sempre sfangata. All’ultimo istante, con un guizzo dei suoi, con l’irriverenza e la sfrontatezza di chi sa di avere l’asso nella manica.
Invece stavolta no, Diego non è più tra noi. Eppure neanche questo è vero, perché per l’Argentina, per Napoli, per Cuba, per il Sud America e per il Sud del mondo, Diego ci sarà sempre, mentre per i ricchi e i potenti, per chi non ha mai giocato a pallone, per i razzisti e per gli invidiosi, per loro non c’è mai stato, non lo hanno mai percepito e non lo faranno neppure oggi, mentre mostrano un finto cordoglio e distinguono, ancora, ipocritamente l’uomo e il giocatore.
Uno di famiglia
Sarebbe impossibile scrivere cosa ha significato per me, per quelli della mia generazione. Sarebbe inutile parlare delle lacrime che oggi stiamo versando in questo dannato isolamento da pandemia e della vicinanza che si manifesta sui social. Con il cellulare pieno di cuori azzurri e di condoglianze e di ti voglio bene e vorrei abbracciarti, come se ad andarsene fosse stato uno di famiglia.
E sarebbe impossibile raccontare la gioia che ci ha regalato, l’orgoglio di cui ci ha riempito, i sogni che ci ha fatto fare e realizzare quando tutto avrebbe lasciato pensare che non sarebbe mai potuto accadere.
Una città intera sta piangendo per un argentino, uno che qui in fondo è stato solo di passaggio, un passaggio lungo 7 anni, ma pur sempre un passaggio. Però Diego questa città stracciona se l’era cucita addosso e aveva deciso di rappresentarla e di difenderla, contro le ingiustizie e i soprusi, che nel suo mondo erano i rigori non dati a noi e i fuorigioco non fischiati agli avversari, ma anche e soprattutto il razzismo che strabordava dalle curve degli stadi dove andava ad insegnare il calcio. “Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires” disse al suo arrivo. E così è stato. Anzi, è stato l’idolo anche di chi povero non era, ma che con Lui ha imparato che bene e male si mischiano, che per un ideale vale la pena anche perdere la finale della Coppa del Mondo, che può capitare di avere ragione con 20 anni di ritardo, ma l’importante è vivere fieri per quei 20 anni.
Più uomo che calciatore
Non c’è compagno di squadra o avversario che ne abbia mai parlato male, tanto era il rispetto che dava e di cui godeva. Ha segnato centinaia di gol, ne ha fatti segnare forse di più, ha preso migliaia e migliaia di calci, testate, gomitate, pugni, senza mai reagire. Ha trionfato, ha perso, ha pianto di gioia e di dolore. Ha sempre cercato di rimanere in piedi, di raggiungere la palla prima degli altri, di giocare, di divertirsi e di divertire il pubblico, la sua gente. Ha lottato per i diritti dei suoi compagni, non si è mai negato a nessuno, consapevole che il suo ruolo su questa terra era dare gioia. Ha sbagliato, ha chiesto scusa, non ha mai rinnegato niente di quello che ha fatto, nemmeno il peggio.
Mi viene in mente una scena. Aveva già smesso di giocare da parecchi anni, quando andò a fare un viaggio in India, vatti a ricordare perché. Ad aspettarlo, sulla pista, c’erano migliaia e migliaia di persone, che volevano toccarlo, baciarlo, ringraziarlo. Maradona con l’India non ha mai avuto a che fare, eppure era di casa lì, come in ogni parte del mondo dove ci sia povertà e voglia di riscatto. Da 3 anni a Calcutta c’è una statua di bronzo (orribile), alta 3 metri (quindi in scala 2:1) che lo ricorda. L’hanno inaugurata il giorno che è tornato in quella terra per fare beneficenza. Non credo che esista un computer in grado di tenere il conto della beneficenza che ha fatto Diego. E non c’è sobborgo del globo dove non sia stato dipinto un murale in suo onore. Se pensate che sia solo per come giocava al calcio siete completamente fuori strada.
Inseguito dal Cinema, dalla Letteratura, dalla Musica
Non a caso quelli che per definizione sono i più sensibili tra noi, gli artisti, da anni lo inseguono, cercando di immortalare anche solo una piccola parte della magia che ha sempre sprigionato.
Anche qui, non si contano i film, le serie TV, i fumetti, le canzoni, i racconti, i romanzi e le poesie che ha ispirato. Mai nessuno in vita ha suscitato tanta ammirazione e anche qui il pallone c’entrava fino ad un certo punto.
Ho già visto popoli in lutto per un idolo. Ricordo il Brasile per Ayrton Senna, il Portogallo per Amalia Rodriguez. Il lutto per Diego, però, non ha patria. Si piange a Napoli a Buenos Aires a Cuba, ma anche in posti dove il suo piede sinistro non ha mai toccato il suolo. Per trovare qualcosa di simile nell’epoca moderna bisogna andare nel campo delle religioni, qualche Papa (ma neanche tutti). O forse John Lennon, ma non saprei, ero troppo piccolo nel 1980. Per una parte del mondo è paragonabile Lady Diana, ma non sono sicuro che nelle favelas sappiano chi sia. Ad ogni modo siamo dalle parti del mito, questo è certo.
Addio
Addio Diego e come direbbe Douglas Adams, grazie per tutto il pesce. Per le magie, per le battute sferzanti, per aver detto a Blatter che era un ladro mentre era all’apice del proprio potere. Per essere stato sempre dalla parte dei più deboli, per non aver mai rifiutato un autografo, per aver vinto dove era impossibile, per essere caduto ed esserti rialzato mille volte. Per aver donato ad una generazione, quella che ora ti piange, un senso di fratellanza che solo i grandi eventi della Storia sanno regalare. Grazie per aver detto il 10 maggio 1987 “finalmente ho vinto a casa mia“. Grazie per essere stato l’idolo più imperfetto e scalcagnato di sempre. Grazie per aver segnato due gol che ora hanno un nome proprio. Per essere stato il migliore di tutti senza avere il fisico adatto, senza i selfie e gli uffici di comunicazione. Per aver giocato quella partita di beneficenza nel fango. Grazie per non aver mai rinnegato una città che ti ha amato tanto, ma che ti ha anche fatto male e ti ha succhiato ogni linfa vitale. Grazie per aver detto del gol più bello della storia del calcio che non era una meraviglia, perché l’unica meraviglia che conoscevi era Raquel Welch. Io non ci credo all’aldilà, Diego. Perciò grazie per aver reso l’aldiquà un posto migliore.