Gianmaria Vanacore da Pasadena, un cervello in fuga. Anzi, come lui stesso specifica, un cervello andato via in cerca di un «antidoto al bromuro di un Paese addormentato, che scivola lentamente verso il baratro». Per spiegare la sua ‘scelta americana’ cita le parole che Pierluigi Celli indirizzò al figlio in una lettera: “Avremmo voluto che fosse diverso e quando ci siamo accorti che diverso non era, abbiamo fatto i bagagli e ce ne siamo andati”. Un cervello impegnativo, quello di questo 32enne nato a Milano da genitori campani emigrati per lavoro (mamma di Pagani e papà di Angri) e cresciuto ad Angri, dove ha lasciato il cuore: «È lì che ho frequentato le scuole, incontrato i miei più cari amici (emigrati anche loro), lì ho cominciato a praticare pallacanestro e calcio e ad innamorarmi del Napoli».
Dopo il liceo, Gianmaria torna a Milano per frequentare il Politecnico: è qui che conosce Milena, una bella ragazza di Bari, purtroppo juventina, che non lascerà più, nonostante la grave ‘macchia’. Ed è qui che prende la laurea triennale in Ingegneria Fisica e comincia il dottorato di Fisica in collaborazione con l’École Polytechnique di Parigi. Trascorre un anno nella Ville Lumiére, poi, nel 2011, dottore di ricerca, si trasferisce in uno dei Paesi che più credono nell’importanza della ricerca, l’America, ed inizia a lavorare come ricercatore al California Institute of Technology (Caltech) di Pasadena.
Oggi, Gianmaria fa parte del gruppo di lavoro di Ahmed H. Zewail, premio Nobel per la Chimica nel 1999: studia approcci innovativi per la conversione di energia e per l’immagazzinamento di dati e informazioni. Dichiara che tornerà in Italia solo «quando ci saranno le reali condizioni per creare una ‘generazione zero’ che riesca a rinnegare il passato senza cercare di migliorare e correggere quello che c’è ma superandolo nettamente senza guardarsi indietro ». Milena è diventata sua moglie: si dedica, oltre che alla professione di medico, anche a curare l’ipocondria del marito.
Nonostante la nostalgia di Angri e soprattutto dei «sapori e dei riti peculiari del Sud Italia», Gianmaria ammette di essersi subito abituato a Pasadena, ai suoi negozi aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, alle case singole con giardino e garage, alle strutture pubbliche e sportive curatissime («Perché qui il pubblico è veramente di tutti, mica è di nessuno, come da noi»), al parcheggio sempre disponibile, agli stipendi più alti e naturalmente al sole della California. Ci racconta di una città tranquilla, anche se ad un passo dalla vita notturna di downtown L.A. e Hollywood, dalle escursioni nella natura al Griffith Park, dallo shopping di Beverly Hills e dalle spiagge di Santa Monica e Venice Beach. Sede del Rose Bowl, lo stadio dove l’Italia giocò la finale dei mondiali del 1994, Pasadena ha uno splendido giardino botanico, l’Huntington Garden e un osservatorio astronomico, il Griffith Observatory, sul Mount Hollywood, da cui si gode una fantastica vista su tutta Los Angeles: dai grattacieli, all’antico quartiere messicano, dai caratteristici tetti a pagoda di Chinatown ai teatri di Broadway, fino al quartiere della moda. Gianmaria ci tiene però a sottolineare che mentre «le città americane, e anche qualcuna europea, ti bombardano con le loro attrazioni, Napoli le sue bellezze non te le rivela immediatamente, le nasconde, te le dischiude solo se fai lo sforzo di andarle a cercare».
Non esiste una comunità italiana, a Pasadena, ma tra connazionali ci si riconosce ugualmente: «Lo sport, e in particolare il calcio, crea connessioni importanti. La domenica mattina, all’Euro Caffè di Beverly Hills, si trovano tanti italiani provenienti da ogni regione intenti a guardare le partite della serie A e ad imprecare contro questo o quello. E l’atmosfera è sempre gioviale e scherzosa, sicuramente molto più rilassata di quella che si può trovare in qualsiasi bar d’Italia».
Quanto a lui, il calcio è sempre appartenuto alla sua vita. «Ho iniziato a seguire il Napoli nella prima metà degli anni Novanta, dopo l’era Maradona. Ho vissuto la parabola discendente, le sconfitte, il fallimento, la retrocessione. Ricordo le lacrime amare ma anche il momento in cui, ogni domenica, nonostante tutto, si accendevano tv o radio con immutata passione». Attribuisce il suo tifo azzurro ad una componente ambientale dovuta a famiglia e amici ma anche ad una componente genetica, «quella che ti fa venire le farfalle nello stomaco quando Koulibaly fa il suo lancio apotropaico di inizio partita, che ti fa stare in tensione per oltre 90 minuti come nemmeno un equilibrista su un filo tra due grattacieli, che ti fa controllare il risultato in maniera incessante anche se stai lavorando e il Napoli gioca l’amichevole con la rappresentativa del Trentino». Non solo, soprattutto da quando è all’estero, il Napoli gli permette di sentirsi parte di una comunità, di «un gruppo di individui accomunati da un senso di appartenenza, da un’dea, da un sentimento che esula i confini della città e delle nazioni di origine di ciascuno, ma che con Napoli si ricollegano in un fil rouge di passione e sport che pochi possono vantare».
Sul rapporto tra Napoli e il Napoli Gianmaria chiama in causa la teoria della probabilità: «Usando un gergo tecnico, potremmo dire che quando ci sono momenti di difficoltà per la città o per la squadra, le due cose diventano ‘mutuamenti esclusivi’, cioè le sorti dell’una si separano da quelle dell’altra, nei momenti di successo, invece, si ha un effetto di ‘entaglement’, di ‘stato di legame comune’, per cui le sorti dell’una riabilitano anche la condizione dell’altra».
Sostiene di tifare per Higuain «con una carica empatica che esula dal rapporto giocatore/supporter ma rientra in una sfera personale: sono felice quando lui è felice», ammette, ma aggiunge anche che l’importanza tattica di Callejon in questo momento è smisurata.
Qui Pasadena: mentre noi ci siamo appena alzati da tavola, qui sono le sei del mattino. Gianmaria è stato svegliato dagli amici, che su Whatsapp lo hanno informato della sconfitta dell’Inter. I vicini dormono, c’è silenzio intorno, cerca lo streaming per seguire la partita. Sente tutta la pressione dei ‘gufi’ attorno e si lancia in una ‘manovra alla Sarri’, preventiva. Inizia calmo, finisce che urla da solo sul divano per la tensione: l’occasione è troppo ghiotta. Al gol di Albiol gli volano via le cuffie dalle orecchie. Al rigore su Higuain trema come se ce l’avessero chiamato contro. Poi si dà un tono e si impone di stare calmo. Al momento del tiro tiene gli occhi ben aperti, mentre lo stomaco gli si attorciglia. Il Pipita non tradisce la sua empatia. Intervallo: il cielo inizia a schiarire, Gianmaria si prepara un caffè con la moka. Poi, non c’è più neanche il tempo per esultare: ne facciamo cinque e ognuno è un dolcissimo passo a consolidare la vetta. Sono le 8 quando finisce tutto. Gianmaria si prepara per andare in laboratorio per degli esperimenti: «La ricerca non si ferma mai», commenta. Con la concretezza del ricercatore mi ricorda che non è successo niente, che siamo solo in testa alla classifica. Però inizia a canticchiare: «Un giorno all’improvviso…».
Ilaria Puglia