Le rispostacce a Billò e Capello sono solo l’ultimo esempio di una aneddotica imbarazzante: i giornalisti si tengono tutto. In attesa di una reazione alla Paolo Frajese
Dentro ogni giornalista c’è un Paolo Frajese. Che non ne può più, si gira, prende a calci Paolini e chiede scusa ai telespettatori. Col garbo del professionista, senza scomporsi più di tanto: legittima difesa, violenta ma istituzionale.
Quando Antonio Conte ha risposto alla compostissima Anna Billò – che gli chiedeva conto del non-gioco dell’Inter appena eliminata da tutta l’Europa possibile – “pensate prima di fare le domande“, c’è stato il solito silenzio-dissenso che l’etichetta televisiva impone in casi come questi. Conte, un attimo prima, aveva snobbato una domanda di Fabio Capello, che in quanto Capello non poteva beccare eccessive reprimende. Quelle gli allenatori le riservano ai giornalisti. Poi, sentitosi interrogare su un eventuale “piano B” da opporre agli avversari, ha opposto un maturo “Lo so, ma non te lo dico”.
L’aneddotica è quasi imbarazzante. All’Inter è passato uno che usò la conferenza stampa per informare i giornalisti di essere più uomo lui di tutti loro messi assieme. Un presidente della Sampdoria in favore di telecamera intimò all’intervistatore “di evitare domande stronze o vi mando a fare in culo”. Quello gli fece una domanda e lui diede seguito al preavviso: “Ma lei è capace di andare a fare in culo?”. Un allenatore del Milan disse al cronista dirimpetto: “Fai le solite domande del cazzo”. Prima che Ibrahimovic alzasse l’asticella col “cazzo guardi?” ad una povera giornalista che, appunto, lo guardava.
Lo stesso Conte, superata la fase ascetica nella quale digeriva i gol subiti col sorriso – “Mi godo il percorso”, diceva – aveva battibeccato con Giancarlo Marocchi, tre settimane orsono, eccependo un “non so se capite di calcio. Se parliamo di cappello in aria, tutti avanti, sono chiacchiere da bar“.
I commenti “a caldo”, si sa, sono a caldo. E la temperatura di certi post-partita vale da sempre come alibi. Il conduttore da studio, per continenza di ruolo, cerca il più delle volte di ammiccare, di stemperare, ma se la stizza è implacabile allora si tiene i cazziatoni. Al massimo chiude il collegamento con ostentata sufficienza.
Capello, sempre in quanto Capello, tolta la linea a Conte quasi per decenza, ha solennemente preso una posizione:
«Stasera non abbiamo sentito spiegazioni, è troppo facile venire sorridenti quando si vince. Ci vuole rispetto per i giornalisti, per i colleghi, per tutti quelli che lavorano nel mondo del calcio».
Una difesa sindacale da un pulpito che li abbraccia tutti: allenatore vincente, commentatore tv, opinionista. Con tono assertivo Del Piero ha tentato di ammorbidire:
«In questi momenti è difficile parlare con Conte, lui vede tutto nero»
La verità è che prima o poi quel Paolo Frajese che vive e lotta dentro di noi riesploderà. E’ questione probabilistica: se è ipotizzabile la vita extraterrena lo è anche una reazione d’orgoglio del giornalista cazziato.
Delio Rossi, uomo alla parvenza mite, con le fattezze dell’impiegato del catasto, un giorno attaccò alla panchina l’irrispettoso Ljajic e lo gonfiò di botte. Tradotto in dialettica è che quel ci si aspetta che accada ogni volta che un Conte si presenta ai microfoni e comincia a distribuire lezioni di giornalismo, spunti d’educazione, sguardi passivo-aggressivi o anche solo silenzi scostumati. Che il titolare della trasmissione si frapponga tra l’allenatore e le sue povere chiacchiere e si lasci andare: “Sai che c’è? Hai rotto! O rispondi in maniera civile o te ne torni da dove sei venuto, nella sacralità del tuo spogliatoio”. Ecco, così. Più o meno.