In testa c’è il Milan Berretti. La Juve è lì senza aver mai battuto nessuno. L’Inter è anticalcio, Lazio e Atalanta scomparse. È la grande occasione del Napoli: se non ora, quando?
In testa alla Serie A più scarsa degli ultimi 122 anni c’è la squadra Berretti del Milan. Appena sotto un’accozzaglia deforme di nobili decadute che non decadono abbastanza, di pretendenti a furor di popolo e grazie ricevute, di sorprese con la scadenza di uno yogurt.
Milan, Inter, Juventus, Napoli, Sassuolo, e poi giù fino a rintracciare la Lazio al nono posto. In questo svilente combattimento tra galli si trascura il contesto, cioè la munnezza su cui ambiscono ad ergersi. Quel che altrimenti viene analizzato come un campionato finalmente non monopolizzato dalla Juve è, a guardarlo bene, un rissa di colpi a vuoto. Una contesa che nella sua mediocrità salva tutti, o li esalta – dipende se adocchi la luna o il dito che la indica.
Inter-Napoli, una delle tante “sfide-scudetto” dell’anno, è stata una partita di rara bruttezza. Nel gergo del post-match, che tutto pialla e uniforma nella retorica standard, si dice “tattica”. Ambizione rivendicata sia da Conte che da Gattuso: evitare che si giocasse, tutti. Conte c’è meravigliosamente riuscito. La squadra che per refrain consolidato dovrebbe vincere lo scudetto – l’Inter ormai fuori da tutta l’Europa possibile e una rosa da 230 milioni investiti in due anni guidata da un allenatore che staff annesso costa 23 milioni l’anno – tutto fa tranne che provare a vincere. E se lo fa nessuno se ne accorge. Gli interisti stessi, proverbialmente “pazzi”, hanno difficoltà a deglutire: l’anticalcio dove mai potrà portarci?
Se le avversarie sono queste tutto è possibile. Il Milan senza Ibrahimovic e altre due o tre importanti assenze, si sta dimostrando la volitiva e modesta squadra che in altre stagioni avrebbe galleggiato in dirittura d’un posticino in Europa League. Ha pareggiato, sbattendosi tantissimo, con Genoa e Parma nelle ultime due uscite, ed è ancora lassù in cima. Sarebbe inspiegabile se non fosse perfettamente spiegabile.
La Juventus, per dire. Che porta in dote 9 titoli di fila, compreso il malmostoso papocchio di Sarri dello scorso anno. Pirlo – presentato coi favori dei media come quello di “Pirlolandia” – è attaccato al primato davvero non si sa come. Cioé… si sa benissimo, ma lo stupore resta: ha pareggiato con la Roma, ha battuto il Napoli a tavolino, ha pareggiato a Crotone e poi col Verona, certo ha vinto con lo Spezia, ma poi ha di nuovo pareggiato con la Lazio prima di battere il Cagliari. Un altro pari a Benevento, il derby vinto allo scadere, tre punti col Genoa, e il pareggio con l’Atalanta. Con questo percorso bolso e pieno d’inciampi la Juve è ancora terza, in piena lotta per (non) vincere. Sta lì.
L’Atalanta, poi. Che ad un certo punto del suo sogno di mezza estate snobbava l’Italia per dirsi provincia d’Europa, da tutti osannata ed analizzata nelle sue virtù più o meno scontate. S’è arrotolata in una squallida bega di spogliatoio, peraltro gestita benissimo. Ma è ottava: dopo aver segnato nelle prime tre giornate tutti i gol di mezzo campionato, s’è fatta prendere da una inedita sterilità. S’è sgonfiata, resiste. Quella dei miracoli di qualche mese fa a questo punto sarebbe in fuga, con Netflix alle calcagna per farne sei stagioni e un film.
La stessa Lazio che l’anno passato pareva sul punto di scippare la vittoria alla Juve, prima di afflosciarsi nella ripresa post-pandemica, s’è definitivamente rattrappita: Immobile a parte che continua a far gol con una continuità imbarazzante, tutt’intorno s’avverte la consapevolezza di aver corso fuorigiri per troppo tempo, fino a ritrovarsi ingolfata quando avrebbe avuto bisogno di un motore nuovo, più che d’un aereo privato.
E’ questo l’orizzonte che il Napoli di Gattuso avrebbe dovuto spaccare di prua, senza guardarsi indietro. Senza uniformarsi ad una modestia che i grandi ad un certo punto per dirsi tali devono rottamare come si fa con le cose vecchie e inservibili. I giochetti scaramantici sulle velleità nascoste stonano, se questo è il livello di difficoltà generale. Il basso profilo alla lunga non paga: ti convinci d’essere modesto, per reiterazione d’intenti.
Mourinho, appena perso al 90′ dal Liverpool, è andato da Klopp a dirgli in faccia che lui, il suo Tottenham, è più forte. E poi vediamo alla fine. A certi livelli non ci si nasconde. Figurarsi ai livelli della attuale Serie A.
Con una rosa completa e profonda – l’abbiamo scritto fino alla cacofonia – e una pattuglia di avversarie mai così depressa, si ha la sensazione che il vecchio (e un po’ infantile) adagio “se non ora quando” potrebbe avere una risposta: ora, ecco quando.