Ha compreso subito Napoli: ha sempre saputo che non resiste agli uomini medi e che ciò che non è mediocre, qui non può riscuotere successo
Della storia decennale di De Laurentiis a Napoli, il duemilaventi rimarrà l’annus mirabilis.
Di tutte le figure istituzionali dell’ultimo mezzo secolo, faccio fatica a indicarne una che possa seppur lontanamente paragonarsi al presidente del Napoli per il pragmatismo schietto, la spietatezza del giudizio, l’assenza di scrupolo nell’azione. Qui tutti, tutti noi, su questo giornale, su altri, nei forum virtuali, per le strade, discorriamo stancamente di Napoli e del suo ruolo, della presunta idea che la sottende (è un luogo dell’anima, è un ricordo etereo, è con o senza riscatto), di cosa rappresenti a sé e al resto del mondo. Eppure, mentre noi discettiamo di facezie tutto sommato senza conseguenze, Aurelio De Laurentiis è l’unico che tenga in un pugno stretto e sicuro la città ed i suoi cittadini. Dove sono i sindaci con le scrivanie stracolme di pulcinella di terracotta, dove sono gli sportelli in difesa della città, dove sono i governatori coi lanciafiamme? Signori, solo De Laurentiis ci ha compresi dal primissimo istante. Per questo ha investito senza remore e con decisione. Soldi veri. Ha gigioneggiato, si è anche divertito, ma dubbi non ne ha mai nutriti. Vi sono stati momenti in cui a noi è sembrato che il gioco gli stesse sfuggendo di mano. Non è mai successo, oggi lo sappiamo. C’è stata una parte della società, persino del tifo, che ha sognato di scalare chissà quali cieli. Quando è accaduto, De Laurentiis ha sorriso e ha mandato tutto grosso modo in zone limitrofe a quelle dove Insigne ha mandato l’arbitro Massa qualche giorno fa. E siccome Napoli ce l’ha nel taschino, ha solo aderito ai comandamenti noti nello spettacolo per affrontare la criticità dell’uscita di scena.
Ad una Italia sedotta dalla decrescita felice, De Laurentiis ha contrapposto, con un balzo in avanti di ere geologiche, il declino felice. Ha distrutto e ricostruito nei tre giorni biblici la sua corte alla quale ha fatto accorrere frotte di uomini medi. Chiunque tra noi, persino in quel covo di carbonari che è la redazione di questo giornale, pure conserva, nascosto, fioco ma vivo, un barlume di speranza. L’idea che – vabbè se ne parla, ma non potrà proprio essere tutto immutato ed immutabile all’ombra del Vesuvio. La gente se ne accorgerà delle differenze. Aurelio è rimasto invece l’unico e forse ultimo realista, quasi un positivista dei sentimenti, l’uomo che crede solo a ciò che vede. E lui a Napoli una chance non l’ha data – mai – perché sa che non è richiesta. Anzi, ha sempre saputo che al richiamo di un esercito di uomini medi Napoli non si sarebbe mai sottratta. Ci ha incartato Sarri e ci ha vissuto per un triennio. Genio.
De Laurentiis è un gigante. È colui che, in questo mare di illusioni che diventano in questi mesi pandemici autentiche valanghe di follie collettive, mostra che la mania più schizofrenica è credere che in questa città ciò che non è mediocre possa riscuotere successo. Ci avevamo creduto persino noi, dell’evertonista. Non ci eravamo accorti che intanto, Aurelio, si scompisciava.
A quest’uomo che, come un virologo dei sentimenti, ha vivisezionato, ha portato e osservato in laboratorio quintalate di cosiddetti cuori azzurri e alla realtà non ha mai anteposto alcuna inutile retorica, va tutta la mia sincera ammirazione.