Il Napoli è una società che non ha coraggio, non si rinnova, è resistente ai cambiamenti. E si ritrova a essere obsoleta anche nello scouting
![Il calcio e il mercato sono cambiati, la struttura del Napoli è sempre la stessa Il calcio e il mercato sono cambiati, la struttura del Napoli è sempre la stessa](https://www.ilnapolista.it/wp-content/uploads/2018/07/giuntolidelaurentiis.jpg)
Il punto di saturazione forse è stato raggiunto. Non è soltanto a causa della sconfitta di Verona, non è qualcosa di improvviso o estemporaneo. È il risultato di una serie di scelte nella gestione del Napoli che non gli hanno dato un indirizzo preciso in nessuno degli aspetti, da quello tecnico finendo a cascata su tutti gli altri. In pratica, quando è stato il momento di conferire un’altra dimensione alla squadra, non è stato fatto con decisione. Secondo il ragionamento di prima, è ingiusto anche ridurre il tutto al trattamento ricevuto da Ancelotti e alla seguente scelta di Gattuso. Ancelotti aveva capito la necessità di cambiamento, ma non è detto che sarebbe stato nella direzione giusta. Le responsabilità, insomma, sono distribuite.
Il dato di fatto da cui si parte è che il Napoli non è più in grado di garantire una stabile permanenza nelle prime quattro del campionato, il piazzamento che garantisce un certo status sportivo e afflussi di denaro considerevoli dalla partecipazione alla Champions League. Nella situazione attuale è sesto, ma conta relativamente: ha una partita in meno e la classifica è molto corta, ciò che vale oggi potrebbe essere totalmente ribaltato nel fine settimana successivo e così via fino a fine campionato. Inoltre è un momento storico in cui tutte le squadre fanno molta fatica ad essere continue, tra impegni ravvicinati, infortuni e coronavirus. Ma le criticità degli azzurri hanno origini precedenti.
Storicamente, nell’era De Laurentiis c’è sempre stato questo dualismo tra proiezione internazionale e ridimensionamento programmato. A Mazzarri successe Benitez, dopo Sarri venne Ancelotti: una dicotomia perfetta tra l’allenatore emergente del calcio italiano decorato con salvezze insperate e il tecnico asso di coppe. Gattuso non è inquadrabile in nessuno dei due ambiti, è una specie di intermezzo. È un allenatore perfetto per ridare stabilità: ne aveva bisogno il Milan, ne aveva bisogno il Napoli. Il suo metodo di lavoro e le certezze tattiche che ha assimilato sono l’ideale per compattare la squadra in campo e fuori. Poi però quando la dimensione degli obiettivi e, nel caso degli azzurri, anche quella dell’atteggiamento in partita devono per forza di cosa rimettersi sul binario di una nobile del calcio italiano il processo si arresta.
Questo stallo è riconducibile anche ai calciatori, che danno l’idea di essere un gruppo rinnovato male, senza un criterio preciso. Nell’ultimo mercato estivo è stato prolungato il contratto di Mertens, non è stato ceduto Milik ed è stato acquistato un attaccante da 50 milioni (più Petagna). È stato ceduto Allan a 25 milioni per poi prendere Bakayoko in prestito. Non si contesta la validità delle singole operazioni, ma la coerenza gestionale, che obiettivamente è difficile da ravvisare.
Un tempo davanti all’offerta giusta il Napoli cedeva i calciatori: è successo con Cavani, Lavezzi, Jorginho e Hamsik su tutti. Ora i 60 milioni per Koulibaly e i 50 per Allan che offrì all’epoca il Paris Saint-Germain sono diventati pochi, insufficienti. Vendere non sempre è sinonimo di debolezza, è senso degli affari. La Juventus non ha trattenuto Vidal, Pogba, Cancelo, Pjanic davanti a proposte importanti, men che meno gli altri top club italiani che hanno situazioni finanziarie anche più delicate.
Si ha l’impressione che davanti alla possibilità di affacciarsi su un nuovo mondo, il Napoli in tutte le sue componenti e le sue cariche, si sia come intimorito. Ha preferito affidarsi a tutto quello che già conosceva, senza considerare un fisiologico rischio di deterioramento. Ancora una volta, non ha fatto il passo in avanti che serviva per gettare nuove basi. Ma stavolta si è fermato troppo tardi e Gattuso non è riuscito a riprodurre l’effetto Sarri. Non è un suo demerito, ha delle colpe ma sicuramente non sono queste. Tanti giocatori di quel ciclo che sono tuttora presenti hanno sei anni in più, nel bene e nel male. Ed era impensabile che bastasse cambiare allenatore per risanare problematiche diffuse o che le vere difficoltà fossero moduli e turnover.
Ciò che vediamo oggi è una conseguenza di tante decisioni sbagliate, di una politica societaria che forse ha scelto troppe volte di accontentarsi, di non rischiare. Ma il calcio è così. L’Inter ha scelto di dare uno stipendio a due cifre ad un allenatore. Il Milan ha comprato tantissimi giovani. La Juventus ha affidato la squadra ad un tecnico che non aveva mai guidato prima una squadra. La Roma ha preso un direttore generale dal Benfica. L’Atalanta trova rivelazioni in giro per il mondo e vende i suoi pezzi migliori. Solo il Napoli, alla fine, è sempre rimasto lo stesso e stavolta non è detto che sia un bene.