A Repubblica: «Tutto è stato sottovalutato rispetto ai miei ideali politici, che pure porterò nella tomba. Non è giusto. Ho sempre pagato, anche da allenatore».
Su Repubblica un’intervista a Cristiano Lucarelli, oggi allenatore della Ternana, prima in classifica in Serie C, unica squadra professionistica imbattuta in Europa.
Da ragazzo, in Nazionale Under 21, si levò la maglia azzurra scoprendo l’immagine di Che Guevara. Racconta di aver pagato a lungo il gesto.
«Io lottavo per il pane, non per il filetto. Ho segnato 240 gol ovunque e a chiunque, sono stato capocannoniere ma tutto è stato sottovalutato rispetto ai miei ideali politici, che pure porterò nella tomba. Non è giusto. Quando mostrai il Che, avevo vent’anni. Ora ne ho 45 e sono quasi nonno».
Racconta di essere cresciuto nel quartiere Shangai di Livorno.
«Il più difficile della città insieme a Corea. Nomi asiatici, perché le case popolari avevano appartamenti molto piccoli, quattro per ogni pianerottolo. Ma chi è uscito da lì, chi si è sollevato dal niente, non ha più avuto paura della vita. Con mio fratello Alessandro e i miei genitori Maurizio e Franca aspettavamo la partita come una liberazione, la vivevamo tutti insieme allo stadio. Era bellissimo. Papà è stato camionista, poi camallo al porto. Dopo Shangai abbiamo abitato in via Garibaldi, vicino al mercato ortofrutticolo».
Parla del gioco della Ternana.
«La palla dev’essere nostra, è un dogma. E nei rari momenti in cui ce l’hanno gli altri, noi si aggredisce. Faticoso ma elettrizzante. Chi è contento mentre fa una cosa, la farà meglio. Poi, è chiaro che contano i ragazzi. Come dice il maestro Mazzarri, gli schemi sono importanti ma con i giocatori bravi vengono meglio. I tifosi più vecchi mi ripetono che non si divertivano così dai tempi di Viciani, anni Settanta. Per essere chiari: se al 90’ stiamo pareggiando una partita che si era messa male, io voglio comunque vincerla nei minuti di recupero, com’è successo per esempio ad Avellino. E di uno zero a zero difensivo non voglio neppure sentir parlare per scherzo».
Come allenatore, dice, usa sia il bastone che la carota.
«Sorrido, e quando non basta li martello. Ma ho ragazzi che dopo dieci anni ancora mi chiamano per un consiglio o per dirmi buon compleanno. Sanno che posso sbagliare ma non mentire. Allenare è molto più difficile che giocare e paghi solo tu, solo tu sei davvero precario».
Ha pagato troppo le sue idee, conclude.
«Eccome! Anche da allenatore. E quando giocavo, perdevo sempre i ballottaggi. Lucarelli o Bojinov alla Juve? Bojinov! Lucarelli o Toni alla Roma? Toni! Idem in Nazionale. Passavo per essere l’esaurito militante rivoluzionario che, naturalmente, non sono mai stato».