La rosa è stata costruita in modo incoerente ma le scelte dell’allenatore non aiutano. Perché quella formazione se voleva/doveva giocare in verticale?
I cambi di Gattuso, una fotografia del Napoli
Per comprendere i problemi tattici e strutturali del Napoli, la fotografia perfetta si può scattare prima del secondo gol di Pessina, quello che ha fissato il risultato finale di Atalanta-Napoli sul 3-1. Dopo una ripresa iniziata in maniera discreta, e che ha portato al gol di Lozano, Gattuso sostituisce Bakayoko e Zielinski con Demme e Lobotka. Poi, un attimo prima della rete che chiude la gara, il bordocampista della Rai annuncia che Petagna sarebbe entrato di lì a poco al posto di Osimhen.
Ovviamente il gol di Pessina non è stata una conseguenza diretta di queste scelte, ma un legame c’è. E riguarda il modo in cui è stata costruita la rosa del Napoli, non tanto quello che si è visto in campo ieri sera e nelle ultime partite. Sì, perché è francamente assurdo che un allenatore debba – o magari voglia – rinunciare a tre giocatori per inserire tre sostituti che non hanno niente a che fare con loro, in quanto a caratteristiche tecniche e fisiche. È assurdo pure il timing. Anzi, è assurdo soprattutto il timing: il miglior Napoli da settimane a questa parte ha dovuto cambiare completamente modo di giocare al momento di fare le sostituzioni. Perché Demme e Lobotka sono centrocampisti completamente diversi da Bakayoko e Zielinski; e perché Petagna non avrebbe mai potuto replicare i movimenti di Osimhen davanti e dietro la difesa dell’Atalanta.
Ma andiamo per gradi, e iniziamo ad analizzare la partita fin dal primo minuto. Dalle scelte cervellotiche di Gattuso, che una volta di più hanno evidenziato l’assenza – ormai conclamata, permanente – di un piano tattico funzionale agli uomini a sua disposizione.
L’assurdità del 4-3-3
L’Atalanta si è presentata nel miglior abito possibile, date le assenze e il momento di forma dei suoi giocatori. Senza Hateboer e Romero, Gasperini ha deciso di inserire Pessina e non Ilicic alle spalle di Muriel e Zapata; sugli esterni sono stati scelti Sutalo e Gosens, mentre De Roon e Freuler hanno formato il doble pivote davanti alla difesa a tre. Gattuso ha riproposto di nuovo il 4-3-3/4-5-1 visto contro Parma e Genoa, solo che stavolta ha inserito Osimhen titolare nello slot di centravanti e Bakayoko al posto di Demme; Zielinski ed Elmas mezzali, Lozano e Insigne esterni offensivi; in difesa, da destra a sinistra, il Napoli si è schierato con Di Lorenzo, Rrahmani, Maksimovic e Hysaj.
Perché abbiamo riscritto tutta la formazione per intero? Per sottolineare l’assoluta incoerenza, per non dire l’assurdità, delle scelte di Gattuso. Se l’idea era di giocare in verticale, come teoricamente richiesto da due attaccanti come Osimhen e Lozano, perché schierare il centrocampo a tre e rinunciare al trequartista tra le linee in grado di accorciare velocemente sulla palla lunga verso il centravanti nigeriano? Altra domanda: se l’idea era invece risalire il campo attraverso il possesso palla, perché schierare Osimhen? E perché inserire Hysaj sulla fascia sinistra piuttosto che Mário Rui? E ancora: se l’idea era risalire il campo attraverso il possesso palla, perché non utilizzare Demme al posto di Bakayoko nel ruolo di pivote davanti alla difesa?
Una classica manovra costruita dal basso da parte del Napoli: Hysaj è costretto a portare palla, ma non sa a chi e come scaricarla. Tutti i giocatori del Napoli sono seguiti a uomo, e infatti l’albanese non può fare altro che passare all’indietro.
Al netto delle intenzioni di turn over, basta consultare i dati per rendersi conto di quanto queste scelte siano andate tutte in collisione tra loro: Bakayoko ha lasciato il campo al minuto 64′ con un totale di 44 palloni toccati, pochissimi per un giocatore a cui è stato assegnato il compito di far girare la manovra nel primo tempo; il Napoli ha chiuso la gara con 559 passaggi tentati (contro i 349 dell’Atalanta) e 60 lanci lunghi (contro i 34 dell’Atalanta); a fine gara, il calciatore con il maggior numero di palloni giocati (addirittura 131) è stato Giovanni Di Lorenzo.
Il termine perfetto per definire tutto questo è: confusione. In pratica, il Napoli di Gattuso è sceso in campo con un sistema di gioco più orientato a risalire il campo attraverso il possesso palla, solo con Bakayoko nel ruolo di regista e Osimhen in quello di centravanti, più Lozano – in pratica, la quintessenza del calcio verticale. Di conseguenza, per costruire dal basso ha dovuto affidarsi ai terzini e poi agli esterni offensivi, anche perché né Rrahmani né Maksimovic sono abili in fase di impostazione. In questo modo, all’Atalanta è bastato tenere alte le linee di pressione per accerchiare la difesa; e poi, accelerare due o tre volte per costruire occasioni da gol nitide, semplici. Per costruire i gol che hanno indirizzato la partita
In alto, pochi istanti prima del gol di Duván Zapata, l’Atalanta tiene altissima la linea difensiva e porta nove uomini di movimento nella metà campo del Napoli; sopra, i dati sul baricentro delle due squadre nel primo e nel secondo tempo.
Cosa è successo all’inizio della ripresa
Il 2-0 in favore della squadra di Gasperini deve aver acceso una luce nella testa di Gattuso. Come si vede anche dalla grafica appena in alto, il Napoli del secondo tempo è una squadra che si è posizionata più in avanti, che ha attaccato con più uomini. E, soprattutto, in maniera più aggressiva e diretta. Basta riguardare il gol di Lozano per capire cosa intendiamo.
La giusta aggressività determina l’apertura degli spazi giusti.
In questa azione, c’è tutto quello che può (deve?) fare una squadra che ha Osimhen, Bakayoko, Lozano in campo. Ovvero: alzare la linea del pressing, costringere l’Atalanta a rimanere schiacciata e cercare tracce verticali. Politano apre lo spazio a Di Lorenzo e all’inserimento di Bakayoko; nel frattempo tutta la difesa avversaria converge sul lato forte, presidiato da Osimhen, che non ha mai accorciato all’indietro se non per aiutare i compagni a contrastare gli avversari; a quel punto, Lozano attacca un altro spazio che si è determinato, dall’altro lato dell’area di rigore. Ed è bravissimo a colpire per due volte – come può – il pallone.
In realtà, il Napoli che si è visto dopo l’intervallo e fino al gol di Lozano non era una squadra molto diversa rispetto a quella che appena quattro mesi fa – ma sembra sia passata un’eternità – ha battuto e dominato tatticamente l’Atalanta. Ecco, va detto che Gattuso ieri non aveva a disposizione Manolas e Koulibaly, ovvero due difensori potenzialmente perfetti per giocare tutta la gara ad alta intensità difensiva; non aveva neanche Mertens, che a ottobre fu perfetto come seconda punta e regista offensivo del gioco in campo aperto. Queste assenze, però, non possono – non devono – giustificare le scelte illogiche fatte prima della gara. Soprattutto alla luce di quanto si è visto nella ripresa. E non solo in occasione del gol di Lozano.
In porta con tre passaggi.
Come si vede anche in questo video, l’Atalanta del secondo tempo è una squadra assolutamente perforabile. Basta un semplice pallone in verticale sull’inserimento di un centrocampista – Demme, già subentrato – per mandare in tilt il sistema difensivo di Gasperini. La cosa più significativa di questa sequenza, però, sta nelle posizioni di Osimhen e Lozano: i due attaccanti del Napoli non si vedono mai, sono sempre fuori inquadratura, si dividono lo spazio sull’asse orizzontale tenendo bassi i centrali dell’Atalanta. In pratica, non gli permettono di attuare il loro gioco di marcature a uomo e anticipi sistematici. Il gioco che invece gli è stato concesso nel primo tempo.
La resa
Il gioco che il Napoli è tornato a concedere dopo l’ingresso di Lobotka e Demme, due centrocampisti che amano toccare tante volte il pallone prima di giocarlo. E che spesso lo smistano in maniera elementare, a corta distanza. L’azione che vedete sopra è l’ultima realmente pericolosa del Napoli dopo il gol di Lozano, ed è arrivata quattro minuti prima del gol di Pessina. Dopo l’ingresso di Demme e Lobotka, l’Atalanta ha sfiorato per tre volte il gol – con Ilicic, Zapata e Pessina.
Ovviamente, qui non si vuole gettare la croce addosso ai giocatori che sono subentrati. Gattuso non aveva altre alternative, se non Fabián Ruiz reduce dal Covid. Il punto, però, è che i cambi – anche forzati – del tecnico calabrese hanno tolto al Napoli la propulsione che si era percepita chiaramente prima del gol di Lozano. Un cambiamento di atteggiamento mentale e tattico insieme, sublimato nel ritorno al 4-2-3-1 ma soprattutto a un tentativo di risalire il campo in maniera più immediata – ovvero, ciò che serviva per attaccare una difesa come quella dell’Atalanta. Perché non è solo questione di moduli, ma soprattutto di principi e interpretazioni
Il problema della rosa
Siamo tornati al punto di partenza, ma in realtà non ci siamo mai mossi di lì. Il dramma esistenziale del Napoli e di Gattuso sta nell’incapacità di trovare un accordo tra idee di gioco e caratteristiche degli uomini a disposizione. È una situazione che si potrebbe definire, utilizzando una locuzione un po’ letteraria, Il Problema della Rosa.
Questo problema è evidentissimo anche in difesa: il gioco di possesso intensivo si sposa perfettamente con una difesa alta, aggressiva, perché è difficile pensare di difendere in area di rigore e nel frattempo risalire il campo portando su molti uomini. Il Napoli del primo tempo, in teoria, avrebbe dovuto essere quindi una squadra in grado di accorciare velocemente sugli attaccanti avversari. Proprio quello che non è riuscito ai giocatori di Gattuso in fase di non possesso.
Quanti secondi passano tra il controllo e il tiro di Zapata senza che nessuno lo affronti?
Quando Zapata riceve il pallone, una squadra che vuole difendere in maniera aggressiva deve necessariamente accorciare sul portatore di palla. Con i centrali, con il terzino di parte. Invece, qui Maksimovic e Rrahmani retrocedono, Hysaj si fa risucchiare e non legge l’uscita sull’attaccante colombiano. Il fatto che poi lui trovi un tiro di grande potenza e precisione fa parte del gioco, ed è un merito tutto suo. Che, però, poteva – anzi: doveva – essere contenuto da una giocata difensiva più convinta e convincente. Quasi futile aggiungere che anche negli altri due gol, la difesa del Napoli non è riuscita ad anticipare Zapata, bravissimo a servire per due volte Pessina sullo stesso identico movimento a tagliare in mezzo ai centrali.
La svolta difensiva è già finita?
Sette giorni fa, per portare a casa un risultato positivo, Gattuso scelse di preparare la partita solo in chiave difensiva. Ricorderete: cinque difensori, due centrocampisti centrali e tre attaccanti, tutti sotto il metro e settantacinque centimetri, da lanciare in verticale. Una strategia che funzionò solo in difesa, anche perché i tre giocatori offensivi finirono per pagare il gap fisico con Romero, Toloi, Djimsiti. Una settimana dopo, quella svolta pragmatica/speculativa si è già esaurita. Il Napoli è tornato indietro e ha scelto di consegnarsi, per tutto il primo tempo, all’Atalanta. Non solo perché ha difeso con un uomo in meno rispetto alla gara dello stadio Maradona, ma perché ha messo Osimhen e Lozano – e Bakayoko, e Zielinski, e tanti altri – in un sistema che non poteva funzionare.
Tanto valeva, allora, riproporre lo stesso modulo e lo stesso atteggiamento tattico attendista. Però con Osimhen nello slot che una settimana fa fu occupato – almeno inizialmente – da Lozano. Avrebbe avuto più senso, più significato, piuttosto che attuare un nuovo piano partita indeciso tra calcio di possesso e calcio verticale. Una scelta di mezzo che ha tolto al Napoli 45′ di possibilità, dato che la squadra di Gattuso sembrava voler addormentare il gioco anche quando il risultato era (già) sul 2-0 in favore dell’Atalanta. Nella ripresa, come abbiamo visto, le cose sono cambiate ma solo per pochi minuti. Gli equivoci dei giocatori e di Gattuso si sono manifestati di nuovo, e a quel punto era troppo tardi. Anche perché poi l’uscita di Osimhen e l’ingresso di Petagna, subito dopo il terzo gol di Pessina, ha tolto qualsiasi possibilità di continuare a giocare su tracce verticali.
Conclusioni
Il Napoli di Gattuso, in questo momento, non è una squadra. O meglio: è una squadra che però non è unita sotto alcuna bandiera tattica o progettuale, è un’accozzaglia di giocatori che entrano ed escono dal campo senza un piano, oppure con un piano estremamente limitato. Il tecnico azzurro si è perso nella ricerca di sé, è rimasto sospeso tra calcio identitario e calcio liquido. In questo la società non l’ha aiutato, perché gli ha dato in mano una squadra assemblata in maniera illogica. Anzi, non assemblata per niente. Ma è vero pure che ci sono tanti allenatori in grado di districarsi in mezzo a certe difficoltà, che sanno gestire rose incoerenti, variando continuamente, con intelligenza, intuitività, scaltrezza. Anche senza fare tante sedute d’allenamento, giocando ogni tre giorni, e con tante defezioni. Magari non vincono lo scudetto in certe condizioni, ma di certo non perdono 10 gare sulle 31 stagionali.
Ecco, forse questo tipo di situazione non è il pane di Gattuso. E lo rende palesemente inadeguato a gestire questo Napoli, almeno in questo momento e in questa stagione. Certo, c’è il dubbio sull’opportunità di cambiare ora, sull’eventuale successore a breve termine. Ma costruire il futuro, ovvero individuare un progetto e impostarlo fin da ora, tra campo e mercato, è un’operazione che riesce meglio se fatta in con un po’ di anticipo.