Sconfitta a tavolino 3-0 per l’Ucraina impossibilitata a giocare dal governo svizzero a causa della pandemia. Ceferin come Leonida alle Termopili
Non è una semplice questione di benaltrismo, perché l’Uefa si decanta e si fa decantare come un ente che funziona alla perfezione, coerente, senza contraddizioni, capace di curare qualsiasi interesse e di farlo nell’ordine migliore. Un’organizzazione dai caratteri quasi mitologici. Quindi se la si guarda, se ne valuta l’operato e si tira un mezzo sospiro di sollievo, non si commette peccato. Non si tratta, insomma, di mascherare i propri problemi nascondendosi dietro quelli altrui.
Una premessa doverosa, per grattare via lo strato di polemica dalle decisioni del calcio italiano e considerare ciò che effettivamente resta. La Lega, la Federazione, le disposizioni del Ministero della Salute s’ingarbugliano, tra protocolli, disposizioni, circolari, pareri, autorizzazioni. Ma la verità è una: alla fine si agisce con criterio e nel modo giusto. Le partite che non si devono giocare, semplicemente va a finire che non si giocano. Juventus-Napoli ha aperto la strada, l’iter giurisprudenziale si è consolidato e oggi il potere delle autorità sanitarie è pienamente accolto dalla giustizia sportiva, secondo un criterio di forza normativa che sembra logico e scontato, ma che non lo è. Perlomeno però noi ci siamo arrivati.
L’Uefa, infatti, continua una personale crociata contro le disposizioni statali. Ceferin difende a spada tratta il suo protocollo come fosse Leonida alle Termopili, e lo fa in modo così irragionevole che diventa quasi comico. L’ultimo caso, ben riportato da Pippo Russo su calciomercato.com, è la pronuncia del Tas contro l’Ucraina. La squadra di Shevchenko doveva giocare contro la Svizzera a Lucerna, ma una volta giunta nella città elvetica la nazionale ospite si è dovuta attenere all’obbligo di quarantena ribadito dalle autorità locali e non ha potuto presentarsi in campo. A nulla sono valsi i ricorsi, anche il Tribunale Arbitrale dello Sport si è espresso per il 3-0 a tavolino però si è superato nelle motivazioni: “Il Panel del TAS sottolinea che, piuttosto che essere colpevole, l’UAF è stata una sfortunata vittima della pandemia da COVID-19 e perciò ha deciso di non far pagare qualsiasi spesa in favore dell’Uefa e/o della federazione svizzera (SFA)”. Ah meno male, allora!
Non è la prima volta che si verifica una situazione paradossale del genere. Era già successo nel caso di Romania-Norvegia, dove chi doveva viaggiare era stato ingiustamente sfavorito dalla difesa ad oltranza di queste regole. Sia chiaro, è lodevole lo sforzo compiuto da tutti, ad ogni latitudine, di cercare di inquadrare una pandemia all’interno di un quadro normativo da applicare nello sport. In alcuni casi ha prodotto anche felici elaborazioni. Il problema è che bisognerebbe avere innanzitutto il buon senso di riconoscere quanto possa essere difficile contenere l’andamento del virus, riservandosi quindi l’opportunità e la flessibilità di intervenire secondo la ragione e la tutela della salute, e non seguendo rigidamente qualcosa di codificato, che facilmente rischia di risultare desueto in un contesto così variabile.
Non si capisce il perché di tutto questo francamente. Non interessa in questa sede determinare l’importanza del calcio nella vita di ogni persona, ma ne fa parte e come ogni aspetto è stato colpito dal coronavirus. Il mondo cerca di adattarsi settimana dopo settimana ad una situazione in continua evoluzione, con la speranza che ciò che ci attende sia un futuro migliore. Il fatto che il calcio, con i suoi enti più rappresentativi, si rifiuti di farlo, resta tuttora un mistero.