A Roma la partita esemplare. Fabian Ruiz ha confermato che oggi non conta il ruolo ma la funzione di un calciatore
Il miglior Napoli da molto tempo
In questa rubrica, abbiamo criticato duramente le prestazioni del Napoli nel periodo più negativo di questa stagione, e da qui l’operato del suo allenatore. Se utilizziamo lo stesso metro, la gara di Roma può – anzi: deve – essere considerata come la miglior prova degli azzurri da molto tempo a questa parte. L’autorevolezza nella conduzione del gioco, in tutti i momenti, in tutte le situazioni, ha determinato una distanza manifesta tra Roma e Napoli; le intuizioni dei singoli hanno portato ai gol, come (da sempre) avviene nelle grandi squadre non identitarie.
Proprio quest’ultimo aspetto è fondamentale: a Roma, il Napoli ha vinto in scioltezza perché ha saputo adattarsi perfettamente alla partita; perché ha saputo leggerne i momenti e regolarsi di conseguenza; perché ha dimostrato di avere una condizione fisica migliore rispetto a quella degli avversari, e soprattutto nel primo tempo ha fatto pesare questa differenza; infine, il Napoli ha vinto in scioltezza perché nella ripresa ha saputo difendersi con ordine, senza commettere errori. È la definizione della vittoria perfetta per una squadra come quella di Gattuso, che non ha i giocatori giusti per applicare gli stessi principi tattici e attuare gli stessi meccanismi per 90 minuti, piuttosto deve essere in grado di variare il proprio atteggiamento, se non addirittura il proprio assetto, per venire a capo delle partite.
L’importanza della continuità
Questa testata giornalistica e anche l’autore di questa rubrica sono concordi nel rifiutare completamente la narrazione sull’importanza della settimana tipo, nel ricusare ogni ipotesi per cui uscire dall’Europa League sia stato un evento conveniente. Allo stesso tempo, però, chi scrive non può negare che il Napoli sia migliorato molto non appena ha recuperato i suoi infortunati, e da quando Gattuso ha potuto iniziare lavorare con continuità su una certa formazione, senza fare troppo turn over.
Al netto del cambio forzato Hysaj-Di Lorenzo (il secondo era squalificato) e di una minima alternanza in difesa (Rrahmani per Maksimovic in occasione del match interno con il Bologna), è ormai un mese che il Napoli scende in campo con la stessa disposizione (4-2-3-1/4-4-2) e con gli stessi uomini. Anche a Roma, Gattuso ha confermato Fabián e Demme nel doble pivote; Zielinski sottopunta dietro Mertens; Politano e Insigne come esterni a piede invertito.
In alto, il 4-2-3-1 del Napoli in fase offensiva (solo Mertens è fuori inquadratura); sopra, invece, il 4-4-2 in fase difensiva.
Fin dai primi minuti di partita, si è capito che questo schieramento avrebbe messo in difficoltà la Roma. La squadra di Fonseca, nel primo tempo, ha cercato di accorciare il campo difensivo, aggredendo in alto i portatori di palla della difesa; questo pressing, però, non era accompagnato dalla risalita di tutti gli altri reparti, così i giocatori del Napoli hanno trovato grande spazio nella terra di mezzo, vale a dire nella porzione di campo lasciata libera tra le linee di una squadra che non riesce ad armonizzare il suo pressing.
Questa dinamica, però, non è dipesa solo dalla Roma, dai suoi demeriti. Anche il Napoli ha saputo trovare movimenti e accorgimenti che hanno reso più agile ed efficace la fase di costruzione del gioco. Uno di questi riguarda Fabián Ruiz, la sua posizione in campo, i compiti che gli sono stati attribuiti e che lui ha svolto bene, con precisione e buona partecipazione. Dal punto di vista delle spaziature, l’andaluso non ha stazionato solo nel centrodestra, in quella che sarebbe la sua zona di competenza come centrocampista di destra nel doble pivote, ma si è spostato in tutte le direzioni per poter guidare la manovra della sua squadra.
Nel frame in alto, si vede il Napoli impostare il gioco con i due centrali difensivi più Fabián Ruiz, mentre i terzini garantiscono ampiezza. Sopra, per confermare empiricamente che sè, si è trattato di onnipresenza, c’è la mappa di tutti gli 83 palloni giocati dal centrocampista andaluso
Da tempo, in questa rubrica e in tutti gli altri spazi mediali che si occupano di tattica calcistica, spopola il concetto postmoderno per cui la funzione in campo è molto più importante del ruolo, inteso come posizione in campo. Anzi, la funzione non è solo più importante, ma non dipende in alcun modo dal ruolo. Nel gioco liquido di oggi, infatti, anche un terzino o un centravanti possono essere i registi della squadra. Il caso di Fabián Ruiz, almeno limitatamente alla gara contro la Roma, è una dimostrazione perfetta di questa teoria: come si vede dalle immagini in alto, lo spagnolo ha ricevuto palla in tutte le posizioni. Non è stato solo un centrocampista, eppure è stato il regista della squadra di Gattuso.
Anche i numeri confermano questa sensazione: Fabián è stato il giocatore del Napoli che ha toccato più palloni insieme a Koulibaly (83), ed è stato l’elemento che ha servito più passaggi lunghi (8) se si escludono i difensori – inevitabilmente più portati a cercare l’appoggio diretto in avanti. Da quando Gattuso ha potuto/voluto (ri)comporre il tandem con Demme, Fabián ha ritrovato un’ottima condizione, è tornato a essere il motore del Napoli. Dal suo gioco, discendono a cascata una serie di meccanismi che, a Roma, hanno fatto la differenza.
Occupare tutti i corridoi
La tendenza di Fabián a farsi dare il pallone ha determinato infatti uno scenario perfetto per il Napoli di oggi, ovvero una squadra che non rinuncia mai a costruire l’azione da dietro. Come abbiamo visto anche più in alto, il centrocampista azzurro si è portato spesso sulla stessa linea dei centrali difensivi, per poter impostare insieme a loro. A quel punto, i suoi compagni di squadra riuscivano a occupare tutti i corridoi interni ed esterni: una condizione perfetta per sfruttare ancora meglio il buco lasciato dalla pressione non perfettamente organizzata della Roma.
Due frame praticamente consecutivi: in alto, c’è Fabián che imposta come terzo difensore centrale, con Demme in posizione di pivote e Politano che entra molto nel campo e crea una linea di passaggio interna. Sopra, invece, vediamo come si erano schierati tutti gli altri giocatori della squadra di Gattuso: tutti gli spazi e i mezzi spazi erano presidiati, con Hysaj che dà ampiezza sulla destra.
La ritrovata efficacia di Fabián Ruiz si è espressa anche in altre zone di campo, con altre azioni importanti. Il secondo gol di Mertens, per esempio, nasce proprio da uno strappo dello spagnolo dopo un errore in fase di costruzione commesso da Cristante:
Davvero una bella azione.
In occasioni di altre partite di questa stagione, gli articoli di questa rubrica avevano sottolineato come il rendimento di Fabián fosse direttamente proporzionale a quello della sua squadra. Quando il Napoli gli offre un contesto valido, lui riesce quasi sempre a mettere in mostra tutte le sue qualità, a prendere in mano il gioco per dominarlo, dall’alto della sua qualità. Nel primo tempo, come detto, questo dominio di Fabián Ruiz e del Napoli è sembrato assoluto, totale. Sono le statistiche a dirlo: 57% di possesso palla per la squadra di Gattuso; 8 conclusioni per gli azzurri contro 3 della Roma, di cui solo una realmente pericolosa (quella di Cristante deviata da Ospina in corner); anche il dato dei contrasti è stato favorevole al Napoli nella prima frazione di gioco (8-5).
Come dovrebbe essere il gioco di Gattuso (con Mertens)
In pratica, il primo tempo di Roma-Napoli è stato un saggio breve – ma esaustivo – sulle reali potenzialità della squadra di Gattuso. Su come gli azzurri avrebbero potuto (dovuto) giocare una partita con Mertens in campo al posto di Osimhen. Come detto, il Napoli è riuscito a tenere il pallone più dell’avversario, ha affidato la regia al suo centrocampista più talentuoso e l’ha messo in condizione di essere centrale nelle trame di possesso, trame che partono sempre dalla difesa o comunque dal basso (nei primi 45′ di gioco, 247 passaggi su 311 sono finiti nei primi due terzi di campo), che viaggiano soprattutto sulle fasce (l’80% delle azioni del Napoli è stato costruito sulle due corsie), ma che hanno e trovano degli sbocchi, grazie ai movimenti interno/esterno degli attaccanti, alle loro qualità, al supporto continuo dei terzini.
Questo tipo di calcio, però, funziona quando tutti gli interpreti sono disponibili e/o sono al massimo della forma. E ancora: può funzionare sempre quando i calciatori sono di altissima qualità e inoltre hanno grande fisicità, al punto da essere performanti nonostante profondi rientri in fase difensiva – in occasione del secondo gol di Mertens, come si vede dal video in alto, il Napoli recupera palla e riparte in transizione quando tutti i suoi giocatori sono sotto la linea del pallone. Solo che la rosa del Napoli non ha il numero di elementi adatto per praticare questo tipo di calcio in tutte le partite – a cominciare da Osimhem e Lozano, più adatti a giocare in campo lungo. E inoltre ha subito degli infortuni che non gli hanno permesso di giocare sempre così.
Il secondo tempo
In questa rubrica non c’è mai stato un attacco a Gattuso per partito preso, per le sue idee calcistiche. Il tecnico calabrese è stato però criticato quando non ha saputo gestire le assenze – un problema che quest’anno ha riguardato tutte le squadre – e la conseguente necessità di andare oltre quello che era stato preparato. Che era stato previsto. A maggior ragione che la rosa del Napoli, come detto più volte, ha una composizione ibrida, e quindi non poteva essere gestita come una squadra identitaria.
Su questo sito, non a caso viene da dire, Massimiliano Gallo ha parlato di «rimpianti» nel commento postpartita di Roma-Napoli. Rimpianti per gli infortuni, certo. Ma anche per il modo in cui sono stati affrontati, e gestiti. Per l’andamento tecnico di una stagione che avrebbe potuto regalare al Napoli ben altre soddisfazioni. È stato evidente nel primo tempo di Roma, come detto finora, ma anche nella ripresa. Perché la squadra di Gattuso è cambiata ancora, ha saputo farlo, adattandosi – nello spirito, nell’atteggiamento, nello schieramento – all’inevitabile cambiamento della Roma.
Baricentro e differenze tra primo e secondo tempo.
Come si vede chiaramente da questi dati, la Roma della ripresa ha alzato i suoi ritmi, in attacco e in difesa. Una (piccola) riscossa che ha portato anche a una maggiore qualità nel gioco della squadra di Fonseca. Non a caso, nel secondo tempo, praticamente tutti gli indicatori statistici – tra cui possesso palla (64%-36%), conclusioni tentate (5-3) e perfino precisione passaggi (89%-82%) – hanno premiato i giallorossi. Eppure il Napoli non si è scomposto. Non ha dato l’impressione di soffrire. Gli unici 2 tiri pericolosi della Roma sono arrivati con Pellegrini, che di testa ha colpito centralmente al 46esimo minuto e poi ha colto il palo dopo un errore gratuito di Koulibaly in fase di costruzione. Per il resto, Ospina è stato praticamente inoperoso; solo un cross sballato e fortunoso di Karsdorp l’ha costretto a un intervento vero, ma non difficile.
L’ingresso di Lozano e (soprattutto) Osimhen nel finale hanno aiutato il Napoli a difendersi. Con il nigeriano e il messicano in avanti, gli uomini di Gattuso hanno potuto risalire il campo velocemente, avevano un appoggio su cui guadagnare metri ed evitare di rimanere troppo schiacciato nella propria metà campo. Anche in questo senso, la gestione di Gattuso è stata intelligente: piuttosto che insistere sulla costruzione dal basso, quindi rischiare contro un avversario che, come detto, era riuscito ad alzare la pressione sui portatori di palla, ha preferito cambiare registro. E alla fine ha portato a casa i tre punti con pieno merito.
Conclusioni
Il risultato e la prestazione di ieri sera a Roma non sono casuali. Ed è andata così pure a San Siro, sette giorni fa, nella gara contro il Milan. Il fatto che i progressi della squadra azzurra si siano manifestati in due trasferte così complicate è un segnale importante in vista della fase finale del campionato, di una lotta per il quarto posto che sarà davvero serrata – soprattutto considerando il coinvolgimento di cinque squadre, se non addirittura sei, dal Milan alla Lazio. Tra queste, Juventus esclusa, il Napoli ha la rosa più completa e di maggior qualità, seppure incoerente nella sua struttura.
Ora la fortuna ha restituito a Gattuso la possibilità di sfruttare questa profondità. Di farlo fino in fondo. E pure in questo senso i segnali sono positivi: cambiare registro e atteggiamento, pur senza stravolgere alcuni concetti fondativi, doveva essere la strategia di questa stagione. A Roma e a Milano abbiamo visto il Napoli trasformarsi in due – ma anche tre, quattro – squadre diverse, quindi si può dire che il tecnico calabrese abbia ricominciato a lavorare in questo senso. Abbia ricominciato a guardare e puntare in varie direzioni.
Certo, resta un po’ di rammarico: forse una squadra così forte avrebbe potuto vivere l’emergenza infortuni – un’emergenza che comunque c’è stata – in maniera diversa. Ma ora sia il Napoli che Gattuso hanno un’occasione: possono dimostrare di avere valori importanti. Come squadra e come allenatore. Arrivare in Champions permetterebbe a entrambi, cioè al club e al tecnico, di programmare il futuro con maggiore serenità, nonostante il probabilissimo divorzio. Di avere più chance di capire qual è il proprio posto nel mondo, quale sarà il progetto giusto da cui ripartire.