A La Nacion: “A Napoli non lo lasciavano vivere. Nel 1985 non vincemmo lo scudetto perché Bianchi aveva paura”
La palla passa di mano. Prima Bertoni, poi Maradona. Poi Bertoni si aggiusta il pallone. Ma Maradona lo spostò un po’. Batte Bertoni, alla Bertoni, quasi senza rincorsa. A giro sopra la barriera, gol. Maradona abbraccia Bertoni. Ma mentre tornano centrocampo Diego gli sussurra: “Questa è l’ultima volta che mi fai questo”.
Stagione 1984/85, Napoli-Arezzo 4-1, Coppa Italia. C’è stato un tempo in cui Maradona doveva divedersi le punizioni con un altro, senza che fosse considerato un sacrilegio. Avevano un patto, lui e Bertoni: da destra le tirava Maradona, da sinistra Bertoni. Quella punizione contro l’Arezzo era in territorio di Bertoni e Maradona voleva varcare il confine. “Stavamo già vincendo e Diego voleva segnare un altro gol. Diego era così…”.
Daniel Bertoni ricorda in una lunghissima intervista a La Nacion quel suo Napoli pre-scudetto. E ovviamente il suo rapporto quasi gemellare con Maradona. All’inizio condividevano la stanza in ritiro i due argentini.
“Il mio passaggio dalla Fiorentina al Napoli fu influenzato dall’arrivo di Diego; con lui lotteremo per vincere il campionato, pensavo. La prima stagione fu difficile per noi, ma la seconda fu combattuta ed arrivammo terzi perché l’allenatore (Bianchi, ndr) aveva paura quando giocavamo in trasferta. Alla fine la Juventus fu campione. Ho sempre litigato con il tecnico: aveva troppe cautele”.
Maradona e Bertoni, insieme, hanno segnato 48 gol – Maradona 30, Bertoni 18– in due anni. Nel 1986 Bertoni se ne va all’Udinese a chiudere la carriera… e il Napoli vince lo scudetto.
“Tutto ciò che Diego ha generato è stato straordinario. E non me l’hanno detto, io ero lì. Non l’hanno lasciato vivere. Non è stato facile essere Maradona. Ricordo che un giorno chiese a mia moglie di invitarlo a mangiare milanese. Venne da noi un sabato, con Claudia ei suoi due fratelli. Dalma e Giannina non erano ancora nate. Noi vivevamo nella parte alta di Napoli, a Posillipo, un paradiso di fronte a Capri, e sotto c’era il mare. Eravamo fuori, nel patio di casa mia, accanto alla piscina, cominciarono a spuntare tifosi ovunque. Non so come fossero saliti…”.
Bertoni rivela che Maradona prima di essere del Boca, era un tifoso dell’Independiente.
“Ricordo che Don Diego e mio papà si ritrovavano sempre sugli spalti del San Paolo mentre ci allenavamo. Quasi ogni mattina li portavamo con noi al club. Lì, Don Diego disse che, sebbene tutta la sua famiglia fosse del Boca, Diego era un tifoso dell’Independiente, era un ‘Rojo’. E che da bambino, negli anni ’70, andava a vedere il suo grande idolo, Bochini”.
Bertoni racconta anche la delusione di Maradona per la non convocazione al Mondiale del 78.
“Il giorno in cui Menotti lo ha lasciato fuori dal Mondiale nessuno poteva crederci. Tanto meno Diego. Diego quel pomeriggio, prima di lasciare il ritiro, venne con tutta la sua angoscia nella stanza che dividevo con René Houseman. Gli dissi che era giovane che avrebbe avuto altre possibilità. Gli dissi che nel ’74 io e Tarantini eravamo tra i 15 sicuri di Vladislao Cap per i Mondiali di Germania e all’ultimo minuto ci lasciò fuori perché era tutto disorganizzato: la lista si faceva in un ristorante… Maradona avrebbe voluto giocare con noi perché sapeva che era una buona squadra. Per lui, l’86 è stata la rivincita del ’78 “.
Bertoni parla anche del calcio di oggi, e dice che tecnicamente è sopravvalutato.
“La qualità è diminuita, non ci sono così tanti giocatori di qualità. Guardo ancora il calcio per i giocatori. Mi siedo davanti alla televisione per guardare il Borussia Dortmund per Haaland, che vedo molto simile a Kempes, e per Sancho. Guardo il Liverpool per Salah, per Firmino… e il City per Sterling, per De Bruyne. Ma non ci sono così tanti giocatori che sono all’altezza delle aspettative che sono montate su di loro. Oggi il giornalismo parla di giocatori che, in realtà, non sono all’altezza di quanto si dice di loro”.
Secondo Bertoni, il calcio ha smesso di concentrarsi sul talento. Un discorso ormai chiaro anche al sistema europeo. Ne parlava solo l’altra sera Allegri.
“L’insegnante è morto, il maestro è morto. È lì che nasce tutto. Chi insegna? Abbiamo perso gli allenatori. Io ho avuto un grande insegnante, “Gordo” Díaz, a Quilmes. Era l’allenatore di una squadra di Llavallol, ha creato l’Arsenal de Llavallol, e da lì sono nati Rojitas, Oscar Pianetti e Angelillo. Tutti giocatori straordinari. Ora ci sono buoni allenatori, il che non significa che siano ottimi insegnanti. Mi spiego? Non è lo stesso”.