ilNapolista

Un’idea per non sentirsi in trasferta a casa propria

L’editoriale fondativo del Napolista, scritto sette anni fa. Che tracciava un’idea di cosa sarebbe stato questo sito.

Un’idea per non sentirsi in trasferta a casa propria

Essere figli di comunisti a Napoli negli anni Settanta aveva i suoi vantaggi. Con un padre giornalista all’Unità (la metalmeccanica era la mamma) si andava allo stadio gratis: non per altro, ma perché la gran parte dei colleghi, ops compagni, non si sarebbe mai piegata a partecipare a quel rito collettivo che ottenebrava le coscienze.

E allora la tessera Napoli del quotidiano col bollino rosso era sempre a disposizione. Ogni domenica un’emozione nuova. Ogni domenica quelle scale fatte di corsa per poi restare senza fiato davanti all’immenso prato verde, voltarsi piano piano e osservare tutte quelle persone lì per lo stesso motivo.

Anni calcisticamente bui, da Stanzione a Frappampina, ma poco importa.

Poi arrivò Lui. Slanciato, biondo e con le ali, come lo ha descritto Maurizio de Giovanni. Il suo acquisto fu annunciato una sera d’estate dell’1984. Luigi Compagnone, sulla sua terrazza a Monte di Dio, sembrava un bambino.

E sì, perché essere figli di comunisti a Napoli negli anni Settanta significava anche avere dimestichezza con filosofi, scrittori, politici; confrontarsi precocemente col fujtevenne di Eduardo e quelle interminabili discussioni su Napoli metropoli europea, come diceva Maurizio Valenzi. Ho capito solo molti anni dopo il perché di quelle più o meno bonarie pressioni a lasciare la città. Si rifanno vive nella mia mente a ogni ritorno. Da emigrante. La gran parte delle volte proprio per risalire quelle scale del San Paolo, per provare ancora a sentirmi parte integrante della città. Quella maglia azzurra, in fondo, a questo serve. A non farmi sentire in trasferta.

Questo sarà il Napolista: il pretesto per mantenere vivo un amore. E l’illusione di non aver del tutto disertato.

ilnapolista © riproduzione riservata